«Non dobbiamo partire dalle buone vecchie cose ma dalle cattive nuove cose»; così ci avvertiva Walter Benjamin, il filosofo marxista tedesco facente parte «del gruppo di ingegni più intelligente» del suo tempo, come lo definiva Thomas Mann. Le «cattive cose» che caratterizzano lo scenario politico italiano, catapultato di colpo in una breve e concitata campagna elettorale, non sono «nuove», ma in tale contesto rivelano gli esiti comico-tragici delle loro logiche di lungo periodo.

Il regresso delle «cose» ed il corrispondente regresso del «pensiero» che hanno segnato gli ultimi trenta «ingloriosi», si sono manifestati in molti modi, uno dei quali è stato (ed è) la rottura del rapporto tra le «cose» e il linguaggio che deve definirle. La «cosa» certamente più evidente nell’attuale panorama politico italiano è la riduzione ai minimi termini e, quindi, l’irrilevanza, della sinistra che affonda le proprie radici nella cultura della critica dell’economia politica e nelle sue forme storiche assunte per circa 150 anni. Eppure, il termine «sinistra» appare in evidenza nel contesto linguistico del marketing della rappresentazione elettorale. Segno che il brand ha di per sé, indipendentemente dai contenuti, un alto grado di spendibilità nel mercato politico.

Sembrava che lo stesso fondatore del Pd, in uno di quei rarissimi atti di onestà intellettuale così estranei al ceto politico protagonista del nostro lungo termidoro, avesse rinunciato all’uso di una parola così decisamente denotata e insieme connotata dalla storia del movimento operaio e socialista. Veltroni, infatti, ad un giornalista spagnolo che gli aveva chiesto le ragioni per cui il segretario del nuovo partito non pronunciava più «la palabra izquierda», rispose: «Es que somos reformistas, no de izquierdas» («El País», 1/03/2008).

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Dove si vede che lo sprazzo dell’onestà intellettuale si era esaurito in un attimo. Il termine «riformismo» veniva ufficializzato secondo l’uso esistente dagli anni Novanta, cioè in un significato che rovesciava tanto denotazione che connotazione propri di un’intera esperienza storica.

Ora anche Veltroni usa «la palabra izquierda» per indicare l’insieme Pd e sue superfetazioni. Le ragioni sono del tutto evidenti. In una concezione del mercato politico che si vuole forzare in senso bipolare le collocazioni per simmetria «destra» e «sinistra» godono di una altissima rendita di posizione. Su questo piano assiale Meloni e Letta giocano di concerto.

Ovviamente le forze politiche ch’essi rappresentano non sono la stessa cosa. Le loro differenziazioni, in particolare sul tema dei diritti civili, sembrano poter giustificare la collocazione assiale. Ma si tratta di variazioni, seppure importanti, sul tema concernente la comune e fondamentale concezione ordoliberista dei rapporti economico-sociali. L’ordoliberismo non è la riproposizione della concezione classica del laissez-faire. L’ordoliberismo realmente operante non chiede che lo Stato si ritiri dalla sfera economica. Lo Stato ha una funzione fondamentale nella logica di far diventare il mercato legislatore e norma.

Uno degli esempi più chiari al proposito lo si può trovare nella introduzione della regola del pareggio di bilancio in Costituzione votata dal parlamento italiano nel 2012. In questo modo si è dato valore costituzionale ad una teoria economica; si è fatto un passo importante verso lo Stato ideologico nella prospettiva del capitale totale. Nella costruzione di tale prospettiva Pds, Ds e poi Pd hanno avuto un ruolo primario, conseguente e rigoroso. La cosiddetta agenda Draghi non è altro che la fase attuale del suddetto percorso.

Si tratta di dati di fatto, non di questioni opinabili. Analisi specifiche e studi ne forniscono prove difficilmente confutabili. Solo la mistificazione propria alla rottura del rapporto tra le «cose» e il linguaggio, ormai tratto caratterizzante della comunicazione (propaganda) politica, nasconde sotto una nebbia fitta di parole fluttuanti (riformismo, progressismo, modernità) una realtà consolidata nelle strutture dei rapporti economico-sociali. L’espressione «sinistra per simmetria» mi pare, dunque, adeguata a definire ciò che è una componente fondamentale dell’universo neoliberista.

L’aura mistificatrice è rafforzata dal fatto che la componente in oggetto può contare, ai margini, su una coalizione che presenta anche forze il cui definirsi di «sinistra» continua ad avere una qualche ragione. Forze che, però, restano attaccate alla «sinistra per simmetria» come patelle allo scoglio. Patelle, «piatti molluschi che stanno appiccicati allo scoglio e fanno (..) tutt’uno con la pietra» (I. Calvino, Pesci grossi, pesci piccoli). Diventa così ancor più improbo il cammino di quella sinistra non per simmetria di cui l’Italia ha bisogno e la cui costruzione rimane il compito primario, indispensabile, per chi intenda rimanere l’erede di una grande storia. Una tappa di questo percorso è rilevabile anche in questa consultazione elettorale.

Il compito della nuova costruzione sa di fatica di Sisifo. Diceva Camus: «Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice». La «sinistra patella» non ambisce a questo tipo di «felicità».