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Sinistra, aperti nei contenuti, uniti per realizzarli

Sinistra, aperti nei contenuti, uniti per realizzarli

Sinistra La costruzione del nuovo soggetto politico va intrecciata con il lavoro svolto, centrali i referendum

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 23 dicembre 2015

È semplice e seria, la lezione di Podemos. Per prendere voti, per convincere le persone ci vogliono concretezza e futuro, solidità e coraggio, non trucchi ma vero cambiamento. Eppure rimane una lezione difficile, per noi in Italia. Qui dobbiamo fare i conti con una fine, la fine del “tavolo” che univa tutte le forze della sinistra esistente insieme ad alcune associazioni, e a chi è uscito dal Pd.

Una fine che dice che quelle forze, quei soggetti, non vogliono o non possono tenersi insieme – qualunque siano le valutazioni sulle diverse sfumature e gradazioni di responsabilità. Una fine che dice che non c’è più unità, del resto bastava guardare le pagine del manifesto di ieri, che presentavano con chiarezza differenti opzioni in campo. Ma se dove c’è una fine c’è sempre un principio, cosa inizia di nuovo?

Il documento che circola da ieri nel web, intitolato una “Sinistra per tutte e tutti”, si propone come un superamento di un’impasse, ed è auspicabile che l’assemblea convocata diventi un vero terreno di confronto politico. Sorprende che il testo si presenti avvolto in una sorta di chador, che vela chi presenta la proposta. Il corpo c’è, ma non si deve vedere. Un’idea poco attraente, ai miei occhi, che anche poco ha a che fare con l’anonimato della moltitudine. Del resto l’assemblea convocata ha una data e una sede e si vuole di tutte e di tutti, una testa un voto. Quindi occorrono regole e soggetti riconoscibili, per partecipare. Sarà la partenza di un processo unitario? Questa è un’incognita tutta da verificare, in fondo il documento “Noi ci siamo”, che era stato firmato da tutti, era molto più stringente, quanto alla definizione del progetto e del soggetto politico da costruire.

Siamo di nuovo a uno scenario aperto, in cui le forze politiche interagiscono e si mettono a rischio come chiunque altro, in cui diventa necessario mettere in chiaro la politica, le idee sulle quali ci si confronta. Allargare la discussione e il confronto ai diversi movimenti, ai diversi soggetti, anche i più impensati, anche quelli che da tempo hanno perso qualunque interesse alla rappresentanza. Se non in caso di necessità.

Dall’attualità vengono vari esempi. Esistono reti, mondi organizzati che pur essendo altamente politici nella loro ispirazione, da un lato non trovano spazio nell’elaborazione politica, dall’altro se ne tengono fin troppo lontani. Penso alla rete dei Centri antiviolenza, contrari alla norma inserita nella legge di stabilità, sulla procedura con cui accogliere le vittime che si presentano a un Pronto Soccorso. Non entro nel merito, in parlamento ora c’è una mobilitazione contro. Qui osservo che si tratta di questioni cruciali per una cultura politica, sul rapporto con lo Stato, strano che siano sconosciute.

Analoghe considerazioni si possono fare a proposito dell’attacco sul “genere”, portato avanti non solo in Italia, dall’oltranzismo cattolico. Temi che tutte le elaborazioni a sinistra ignorano, come se fossero appannaggio di specialisti perlopiù ignorate come le femministe o il movimento Lgbt, mentre al contrario la mobilitazione diffusa, tra i non militanti, è altissima.

Perfino un’esperienza capillare, quasi identitaria per la sinistra come l’accoglienza e l’incontro con i migranti e i rifugiati, resta marginale nella discussione politica, confinata a una meravigliosa solidarietà. Non è un caso che proprio questi sono gli assi del successo di Marine Le Pen, sventato dal comportamento “repubblicano” dei francesi, che sta lì implacabile, a mostrare in quale direzione si muove il popolo, quando manca chi sappia parlare, far ragionare sulla propria vita per come è.

È questa la politica aperta che occorre. Una politica che in una più che urgente battaglia di idee, guardi alle persone. Una politica che coglie l’occasione dei referendum per coinvolgerle e coinvolgersi. Il lavoro, il territorio, la scuola si intrecciano alla vita di ciascuna e ciascuno, non sono proprietà degli specialisti. Tanto più il referendum costituzionale, che riguarda la possibilità di una comune vita democratica.

Sono campagne essenziali che richiedono energia, convinzione, speranza del tutto condivise e unitarie. Una esperienza che già nelle amministrative, in alcune situazioni come a Bologna o a Torino, si sono avviate coi migliori auspici. Bisogna capirsi bene.

Il processo aperto per la costruzione del soggetto politico per la sinistra si deve intrecciare ora più strettamente con il fitto lavoro già esistente, di cui i referendum sono parte centrale. Solo così può trovare linfa vitale.
Da raccogliere è la lezione più importante di Podemos, e prima del Portogallo e della Grecia: le posizioni antiliberiste, contro i disegni dei capitali finanziari, non sono più minoritarie, conquistano voti. Insomma si può vincere. Il primo passo è permettere che avvenga.

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