Singapore: i lavoratori migranti costituiscono l’86% dei contagiati
Da eccellenza a quasi fallimento Il modello Singapore salutato come vincente contro il Covid, in realtà sta vedendo un aumento vertiginosi dei casi a causa delle poche condizioni di sicurezza dei lavoratori migranti
Da eccellenza a quasi fallimento Il modello Singapore salutato come vincente contro il Covid, in realtà sta vedendo un aumento vertiginosi dei casi a causa delle poche condizioni di sicurezza dei lavoratori migranti
Nel mezzo dell’emergenza da Covid, Singapore insieme a Corea del Sud e Taiwan era stato segnalato come uno dei paesi che meglio aveva affrontato l’epidemia, grazie al proprio sistema sanitario (in testa alle classifiche mondiali delle eccellenze nel campo) e alla pronta risposta delle autorità nell’isolare i casi, usare app di tracciamento e organizzare il contenimento. Poi via via però, mentre Corea del Sud e Taiwan hanno continuato a percorrere la traiettoria «virtuosa» Singapore ha cominciato a perdere colpi: dapprima è stato messo in discussione il sistema di tracciamento, tanto esaltato anche in Italia.
I dubbi al riguardo sono stati espressi dagli stessi creatori dell’app, che hanno sottolineato che l’applicazione di per sé non basta. Poi è emerso il grande problema degli esclusi dalle misure di sicurezza, ovvero i lavoratori migranti. Come ha scritto Slate in un articolo pubblicato di recente, Singapore ora ha il più grande focolaio registrato nel sud-est asiatico.
Tra il suo primo caso, il 23 gennaio e il 23 marzo, Singapore ha riportato meno di 510 casi noti di Covid. Ora sono quasi 15mila. Il caso dei lavoratori migranti ha trovato grande spazio sui media occidentali perché piuttosto emblematico delle forme di esclusione che non sono certo una novità per Singapore, il cui sistema politico, solo formalmente democratico, è da anni appannaggio di una sola famiglia, quella del «padre» del modello Singapore Lee Kwan Yew, unitamente a una politica che guarda alla finanza più che ai diritti.
In particolare è stata sottolineata la mancata volontà di avere cura dei lavoratori migranti, ammassati in fatiscenti strutture in cui è decisamente complicato mantenere le norme necessarie ad evitare contagio, primo fra tutti il distanziamento sociale. Perfino il New York Times ha stigmatizzato il fenomeno, scrivendo che «i casi di coronavirus legati ai dormitori dei lavoratori migranti hanno rappresentato l’88% dei 14.446 casi di Singapore, inclusi oltre 1.400 nuovi casi registrati in un solo giorno».
Molti di loro, sottolinea il quotidiano, «vivono in dormitori affollati nella periferia della città. Questi dormitori possono ospitare fino a 20 persone per camera, rendendo quasi impossibile seguire le linee guida di distanza sociale».
Il governo ha tentato un po’ distrattamente di occuparsi del problema, ordinando a tutti i lavoratori che «vivono in dormitori di smettere di lavorare fino al 4 maggio, imponendo un ordine di domicilio per 180.000 lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni. Il governo ha anche dichiarato 25 dormitori come aree di isolamento, dove i lavoratori sono confinati nelle loro stanze».
Misure criticate da gruppi e associazioni di lavoratori migranti che lamentano una scarsa attenzione al problema che ormai è diventata la causa principale del diffondersi dell’epidemia.
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