I tagli ai comuni ci sono, ammontano a 200 milioni di euro i e rientrano tra quelli agli enti territoriali stabiliti dal governo nell’ultima legge di bilancio.
In questi giorni di campagna elettorale il decreto interministeriale, al centro delle polemiche delle opposizioni e delle smentite piccate da parte del governo, ha reso operativo il taglio. Ma non interviene direttamente sui fondi del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) destinati ai comuni.

Lo potrebbe fare indirettamente perché, secondo il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio De Caro, «il taglio sarà fatto con dei coefficienti che tolgono di più a chi ha avuto più risorse dal Pnrr». Cioè ai comuni più grandi, o comunque a quelli che hanno avuto la capacità e le competenze di fare progetti del Pnrr in via di esecuzione. Ieri i sindaci Pd di Roma (Gualtieri), di Bologna (Lepore) o di Bergamo (Gori) erano molto critici a tale proposito. Così come inquieti sembravano i responsabili regionali dell’Anci e delle province.
De Caro ha sostenuto che il «danno sarà doppio»: toglierà risorse ai comuni che hanno già una capacità finanziaria ridotta e ridurranno in prospettiva i servizi necessari per fare funzionare le opere realizzate con i soldi del Pnrr. Se si fa un giardino, il comune avrà bisogno di giardinieri. Ma se non ha i soldi per pagarli, come già accade oggi, il giardino non sarà curato da nessuno. Lo stesso avverrà per gli asili nido sui quali si è concentrata prevalentemente la polemica, a cominciare dalla segretaria Pd Elly Schlein.

Il ministro addetto al Pnrr affaele Fitto ieri ha detto che nel Pnrr non c’è alcun taglio ai servizi sociali anche perché è espressamente escluso. E ha detto a Schlein, e alle opposizioni che lo bersagliano da giorni, «di chiedere scusa». «È una polemica surreale». Per Antonio Misiani (Pd) «o Fitto non conosce come funzionano i bilanci comunali oppure, sui tagli al fondo di solidarietà comunale sta facendo il gioco delle tre carte».
Se e quando gli asili nido saranno costruiti potrebbe mancare il personale a causa delle restrizioni del turn-over e altre misure che impediscono di assumere il personale che può gestirli. E questo non dipende solo dai tagli ai comuni. Il Pnrr ha un difetto di visione: finanzia le opere, ma non risolve il blocco del personale, né le condizioni contrattuali e salariali in cui si lavora in Italia. Questi nodi aggrovigliati non sono stati dipanati quando il Pnrr è stato concepito. Figuriamoci se lo possono essere ora, quando il conto alla rovescia per chiudere l’intero programma (2026) è iniziato. In questo scenario «torna la stagione dei tagli» di cui ha parlato ieri De Caro. «E lo sapevamo».

Il governo è molto indietro nella spesa effettiva delle risorse. E, in vista del voto dell’8-9 giugno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ieri ha annunciato la «seconda fase del Pnrr». A questo servirebbero lle «cabine di coordinamento» territoriali con i prefetti . Meloni ha ripetuto la favola dell’Italia «prima per obiettivi raggiunti». Lo è perché ha ricevuto più soldi di tutti. Ma quello che conta è l’investimento effettivo dei soldi. E su questo ci sono molte più incertezze perché manca un aggiornato sistema di monitoraggio.
La fondazione Openpolis ha sostenuto ieri che le modifiche al Pnrr sono ancora in corso. Una recente relazione della Corte dei conti ha evidenziato come la revisione del Pnrr sia proseguita anche nel 2024. L’elemento più interessante nel nuovo piano è lo spostamento degli investimenti dalle opere pubbliche agli incentivi per i privati e le imprese. Ai lavori pubblici saranno tolti -11,5 miliardi, alle imprese andranno 11,1 miliardi in sgravi e incentivi, Un classico dell’economia neoliberale: l’assistenzialismo alle imprese. Ora serve ad accelerare la spesa dei fondi. Solo nel 2025 dovranno essere spesi veramente 56 miliardi di euro.

Potrebbe finire così: pur di non perdere la manna europea, e riempire il vuoto della «crescita» che ristagna con gli «investimenti», i soldi saranno distribuiti ai privati. Con l’idea che questi producono ricchezza e occupazione. Certo, precaria, con i bassi salari. Il cerchio, più prima che poi, si chiude. ro.ci.