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Sindacato metalmeccanici Usa: espugnato il Sud

Sindacato metalmeccanici Usa: espugnato il SudOperai della fabbrica Volkswagen in Tennessee – Ap

Tennessee Gli operai della Volkswagen di Chattanooga hanno votato a favore dell'istituzione del sindacato nella fabbrica dell'automotive. Il settore, negli anni più recenti, si era espanso nel sud degli States anche a causa dell'assenza di forti organizzazioni sindacali

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 21 aprile 2024
Luca CeladaLOS ANGELES

Gli operai della fabbrica Volkswagen di Chattanooga (Tennessee) hanno votato a favore del sindacato. Il risultato è storico perché segna la prima ratifica sindacale in uno stabilimento del “sud” degli Stati Uniti divenuto recentemente sempre più baricentro dell’industria automobilistica. Negli ultimi tre decenni quell’industria ha subito una forte contrazione nella rust belt, negli stati settentrionali come Michigan e Ohio dove il declino dei costruttori americani, impreparati a far fronte alla concorrenza, soprattutto giapponese, è iniziato negli anni 70.

A fronte della precipitosa de-industrializzazione, negli ultimi tre decenni, il settore ha visto invece una forte espansione negli stati meridionali dove i costruttori hanno ricevuto incentivi statali, goduto di sconti energetici e soprattutto approfittato dell’assenza dei sindacati (in Usa la rappresentazione collettiva deve essere approvata a maggioranza dai lavoratori di ogni impianto e ratificata).

A differenza del nord industriale, negli stati ex-confederali vi è una scarsa tradizione di “labor” ed in molti di questi i sindacati sono scoraggiati dalle cosiddette leggi di “diritto al lavoro” (right to work). Le condizioni hanno attratto dozzine di grandi marchi americani giapponesi ed europei. Oltre alla Volkswagen, in Tennessee si costruiscono Nissan e  veicoli GM. Honda e Kia hanno fabbriche in Georgia, Bmw e Mercedes in South Carolina, L’Alabama è diventata base per Hyundai, Toyota e Honda (oltre ad un secondo impianto Mercedes), in Kentucky si fabbricano Ford, GM e Toyota, mentre la Virginia sforna camion Volvo. Il nuovo corridoio manufatturiero che si snoda lungo l’autostrada reginale I75, impiega oggi circa 150000 persone e rappresenta il 50% della produzione automobilistica nel paese.

Il boom del sud è coinciso con la crisi della UAW (United Auto Workers), principale sindacato dei metalmeccanici che negli anni 70 rappresentava quasi un milione e mezzo di lavoratori ma che si è trovata esclusa dalle nuove officine. Di recente il sindacato (oggi gli iscritti sono 380000) ha ottenuto una serie di importanti vittorie. Lo scorso novembre è stato firmato un nuovo contratto con le Big Three (Ford, General Motors e Stellantis) dopo uno sciopero in cui la UAW è stata pubblicamente sostenuta dal Presidente Biden.

La rinascita è coincisa con l’elezione del nuovo presidente UAW, Shawn Fain, già elettricista Chrysler e militante di base. Fain ha rivendicato da subito un contratto che riflettesse le nuove realtà economiche delle aziende e facesse partecipi i lavoratori del loro successo commerciale legato al boom di pickup e SUV. Nella vertenza di autunno i lavoratori hanno ottenuto migliori condizioni di lavoro, riduzione degli orari, recupero di benefici sanitari e pensionistici ceduti ai tempi della crisi ed un aumento delle retribuzioni fino al 40% per riflettere i fatturati incamerati dalle aziende.

Le fabbriche del sud però erano rimaste rigorosamente impregnabili ai tentativi di organizzazione sindacale. Il mese scorso la UAW era giunta a fare ricorso in Germania contro le pratiche antisindacali di Mercedes, Volkswagen e BMW, in esplicita contravvenzione delle norme vigenti per le aziende tedesche con più di mille impiegati. Di contro sei governatori di stati del sud hanno firmato una dichiarazione contraria ai sindacati avvertendo che la loro presenza potrebbe “incidere negativamente sulla creazione del lavoro.”

Il risultato di ieri rappresenta la potenziale prima falla nel muro antisindacale che resiste da trent’anni, molto dipende da come voteranno altri stabilimenti. Il mese prossimo sarà la volta della fabbrica Mercedes Benz di Tuscaloosa in Alabama.

Sullo sfondo della vertenza c’è l’incombente elettrificazione del settore auto con tutte le incognite legate a costi, consumi, materie prime e concorrenza cinese ed in generale al progressivo abbandono di un modello, assai lucroso per l’industria, basato sugli idrocarburi. I costruttori affermano che, in questo contesto, eccessivi costi del lavoro rischiano di riportare il settore alla crisi di competitività di vent’anni fa.

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