Crisi economica, sfaldamento del tessuto sociale, dissolvimento di universi simbolici e di codici di identità. Tutto questo è precipitato, in Sardegna, nel voto del 4 marzo. Il Movimento Cinque Stelle ha incassato il 42,4% dei voti, quasi dieci punti in più rispetto al 32,6% del dato nazionale. La Lega, che nelle precedenti elezioni si era fermata a poco più dell’1% è ora al 11,7%. Forza Italia ha il 14,7%; il Pd crolla al 14,8%. Insieme Berlusconi e Renzi sono finito sotto ai pentastellati di 12,7 punti: i due perni del sistema politico regionale sono ridotti a formazioni quasi residuali mentre i 5 Stelle, a un anno esatto dalle prossime elezioni regionali, si preparano a prendere in mano il governo dell’isola.

 

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UN TERREMOTO, dunque. Per comprenderne le cause bisogna vedere che cosa è accaduto nel Sulcis, la zona industriale nel Sud Ovest della Sardegna sino a ieri storica roccaforte della sinistra. I numeri confermano quelli registrati nel resto dell’isola, con M5S che vola oltre il 40% e incassa una quota molto sostanziosa del voto operaio. Secondo le analisi dei flussi elettorali, i voti che in generale sarebbero transitati dal Pd ai pentastellati corrisponderebbero al 14% dell’elettorato che nelle elezioni del 2013 ha scelto dem.

Siamo andati allora a sentirli, gli operai del Sulcis, per cercare tra loro quelli che per la prima volta hanno votato 5 Stelle. O addirittura Lega.

Danilo Casu, 44 anni, è iscritto alla Fiom, lavora alla manutenzione degli impianti della centrale Enel di Portovesme, fa parte del direttivo territoriale Sulcis della Cgil. È un quadro intermedio del sindacato più “rosso”. Nel 2013 ha votato Pd, lo scorso 4 marzo ha scelto M5S. «Guardi, per favore, non mi parli di voto di pancia – spiega -. La mia scelta, e quella di tanti altri operai del Sulcis che hanno votato come me, non ha niente di irrazionale. È una scelta politica. Ho votato contro il Pd di Renzi che ha cancellato l’articolo 18, e a favore di M5S che, attraverso il reddito di cittadinanza, propone un progetto di riorganizzazione delle modalità di ingresso nel mondo del lavoro. Ho votato contro il Pd di Renzi che si è allineato alle politiche neoliberiste predicate dai burocrati di Bruxelles, e ho votato a favore di M5S che propone di aprire con l’Europa un confronto per ridefinire quelle politiche».

E il sindacato? Anche il sindacato nella lista dei cattivi? Casu risponde sicuro: «Il sindacato no. Qui nel Sulcis negli ultimi dieci anni si sono combattute lotte per il mantenimento di una forte realtà industriale che sono state straordinarie. Alcoa, Eurallumina, Portovesme Srl: fabbriche dove non si è scioperato solo per la difesa dei posti di lavoro, ma anche per dire che l’Italia non può rimanere senza una politica industriale, in balìa delle scelte dei grandi gruppi internazionali che possono fare il bello e il cattivo tempo. Il sindacato è rimasto uno strumento affidabile di organizzazione e di lotta. Possiamo anche votare M5S e persino Lega, ma la tessera della Fiom o della Fim o della Uilm ce la teniamo stretta».

Gli impianti della centrale Enel di Portovesme stridono e fatico a sentire Gianluca Caria, 46 anni, anche lui operaio addetto alle manutenzioni, delegato Rsu, iscritto alla Fim, membro del consiglio regionale della Cisl Sardegna. Anche lui ex elettore Pd, ora metalmeccanico a Cinque Stelle. «Perché avrei dovuto votare una forza neoliberista come il Pd di Renzi? Questi prendono una batosta e nemmeno si rendono conto di che cosa hanno fatto per meritarsela. Hanno smantellato un cardine della tutela del lavoro come l’articolo 18, hanno incentivato con il Jobs act una precarizzazione che nemmeno con i governi di centrodestra si era vista, hanno costretto tantissimi giovani ad accettare condizioni di lavoro e livelli di retribuzione umilianti. Le sembra possibile che un partito che dice di essere di sinistra consenta che si stipulino contratti in base ai quali una persona è pagata a tempo indeterminato, magari per due settimane, 30 centesimi l’ora? E vogliamo dire di come quel partito è gestito? Una struttura piramidale con al vertice un uomo solo al comando. Prima i dirigenti della sinistra politica erano selezionati dal basso, c’era un’attività di base nei territori dalla quale emergevano gruppi dirigenti autorevoli. Ora non c’è più dibattito, zero discussione. Gli indirizzi arrivano dal capo che sta a Roma o da ristrette cerchie di notabili locali. Nessun rapporto con la gente. Da che parte si vuole andare con questo sistema?».

IN SARDEGNA LA DESTRA di Salvini e Meloni il 4 marzo ha preso il 16%: 11,7 la Lega e 4,3 Fratelli d’Italia. Più del Pd, che sta al 14,8. Anche nel Sulcis la percentuale della Lega è stata alta: 11,2%, in linea con il dato regionale. Un voto che è andato a Salvini lo abbiano scovato anche tra i metalmeccanici. Lo ha depositato nell’urna Elvio Muscas, operaio dell’Alcoa di Portovesme, 59 anni, entrato in fabbrica nel 1979, iscritto alla Fim Cisl. Alle elezioni politiche del 2013 Muscas ha votato per Forza Italia. Prima ancora, prima del 1994, ha sempre scelto la Dc. Quindi, un elettore di centro. Oggi è leghista. Perché? «Perché siamo sfiduciati. Il Sulcis è vittima dell’assenza assoluta di una politica industriale. Paghiamo trent’anni di mancanza di scelte e di programmazione. Serve una svolta, bisogna rompere una linea di continuità negativa che ci ha portato al disastro». Quando chiediamo a Muscas di dirci quali punti del programma di Salvini gli piacciono, risponde: «Innanzitutto, l’abolizione della legge Fornero. Uno come me, che ha tanti anni di contributi perché ha cominciato a lavorare molto giovane, non può andare in pensione perché c’è il limite di età. E per tanti è così. Non è giusto. E poi l’immigrazione. Non sono razzista, chi fugge dalla miseria e dalla guerra va aiutato. Ma io il prossimo dicembre finisco la mobilità e dal 1° gennaio corro il rischio di andare sulla strada. Vorrei essere un immigrato, perché avrei un minimo vitale garantito. Una terza cosa buona dice la Lega: basta con i vincoli europei che ci impediscono di rilanciare la crescita dell’economia». Muscas, iscritto da sempre alla Fim, i metalmeccanici Cisl, è uno di quelli che nel settembre del 2012 a Roma, insieme agli altri operai Alcoa che protestavano per la minacciata chiusura della fabbrica davanti al ministero dello sviluppo economico, s’è preso le manganellate della polizia in assetto anti sommossa. Ora vota Salvini.