Simone D’Angelo: «I voti delle periferie tornano se si fa la sinistra»
Simone D'Angelo, segretario del Pd Genova – Ansa
Politica

Simone D’Angelo: «I voti delle periferie tornano se si fa la sinistra»

Intervista Il segretario del Pd di Genova: in città siamo passati in tre mesi dal 21 al 26%. Come? Mettendo al centro la lotta alle disuguaglianze. Il Pd nazionale ha oscillato troppo tra Macron e Corbyn
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 29 settembre 2022

Simone D’Angelo, classe 1987, giovane segretario del Pd di Genova, ha qualche ragione per sorridere nonostante la sconfitta elettorale. Nella sua città in tre mesi il Pd è passato dal 21% delle comunali di giugno al 26%, circa 27mila voti reali in più. Ora è il primo partito, ed è andato meglio nelle vecchie zone rosse, quelle operaie e nelle periferie. «Un dato unico in Italia dal punto vista numerico e sociale».

Come avete fatto?

Da molti mesi siamo impegnati nel riformare noi stessi su basi nuove, nel riposizionarci. Abbiamo messo al centro del nostro impegno la lotta alle diseguaglianze sociali, siamo tornati a parlare con la parte più sofferente della città e, piano piano, hanno capito che facciamo sul serio. Questo lavoro è iniziato col congresso del luglio 2021, dove si è avuta la forza di superare una classe dirigente che aveva fatto, nel bene e nel male, il suo tempo. E il nostro impegno è stato riconosciuto dagli elettori.

A livello nazionale è andata diversamente. Il Pd ha oscillato tra una possibile alleanza con Calenda e una agenda progressista.

Qui l’agenda progressista, su cui a livello nazionale si è arrivati in ritardo, ha trovato credibilità e persone che hanno saputo rappresentarla. C’era un elettorato che condivide i nostri valori ma che ci aveva voltato le spalle e ora è tornato a fidarsi di noi.

Qual era l’agenda del Pd in questa campagna?

Per mesi il partito ha sostenuto che, dopo il governo Draghi da noi definito «transitorio e irripetibile», destra e sinistra sarebbero tornate a confrontarsi su programmi contrapposti. Questo elemento non è emerso. Prima si è cercata una risposta moderata con Calenda, poi si è ripiegato su una agenda di sinistra. Troppi tatticismi, poca chiarezza. E l’idea di fondo che la sconfitta fosse inevitabile. Di fronte al dramma delle diseguaglianze il Pd è stato percepito come troppo moderato nelle risposte. Mentre in tutta Europa si sta facendo strada un riformismo non più subalterno al neoliberismo.

Faccia un esempio.

Se il lunedì sei Macron e il martedì Corbyn c’è un problema di credibilità. Questo riguarda anche i temi della lotta al precariato e del salario minimo: pur manifestando l’intenzione di superare il Jobs Act non abbiamo presentato proposte chiare.

C’è stato un eccesso di draghismo?

Era giusto rivendicare i risultati ottenuti dal Pd anche in un governo di unità nazionale. Ma l’agenda Draghi non può diventare il programma di un partito del socialismo europeo.

In tanti nel suo partito dicono che dovete capire chi siete, chi volete rappresentare. Oggi chi rappresenta il Pd?

Non giriamoci intorno, ci sono idee diverse sul ruolo e la funzione del nostro partito. La necessità di trovare una sintesi non può impedire l’iniziativa politica e l’esigenza di rappresentare i più deboli, come purtroppo è accaduto. Io credo che dobbiamo essere interpreti di politiche radicali per rispondere al dramma delle disuguaglianze, e mettere al centro la redistribuzione, il lavoro e i diritti.

Si può ancora trovare una sintesi o è meglio che sinistra e moderati vadano ognuno per conto proprio?

La sfida è dimostrare a chi ci ha votato e soprattutto a chi non lo ha fatto che c’è la volontà di fare del Pd quello spazio in cui si coltiva l’ambizione di portare avanti chi è rimasto indietro. Per questo serve un cambiamento radicale.

Il congresso è già partito. Per ora c’è solo una folla di pretendenti alla carica di leader.

Davanti a questa sconfitta non basta certo un congresso ordinario, o l’elezione di un nuovo leader dai tratti salvifici. Serve un percorso di rifondazione, una discussione finalmente franca, senza personalismi o discipline di corrente.

Non sembra facile. I vecchi capicorrente stanno già organizzando il dopo Letta con i vecchi schemi.

E invece c’è la possibilità di ripartire da una nuova classe dirigente radicata sui territori. E non solo in Liguria. Le energie per cambiare pelle al Pd ci sono.

Il M5S rischia di fare la sinistra al posto vostro.

Hanno sposato alcune battaglie progressiste, ma il M5S si muove più come un comitato su singoli temi. Resta la necessità di una forza popolare di sinistra con una visione della società che dia una cornice alle battaglie. È il nostro compito.

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