Nel villaggio di Zanutah il sibilo del vento non riesce a coprire quello del drone che perlustra la zona. Fa avanti e indietro, con il rumore di un moscone. Non è un drone dell’esercito, ma del vicino insediamento coloniale di Meitarim.

Da gennaio 2022 a settembre 2023, 110 chilometri quadrati di Cisgiordania – una porzione di terre grande quanto la Striscia di Gaza – sono stati di fatto annessi dal movimento dei coloni agli insediamenti esistenti.

Il quadro in cui l’annessione silenziosa avviene lo aveva tracciato pochi giorni fa l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem: «La violenza dei coloni non è separata dalla violenza dello Stato. È il braccio ufficioso dello Stato per confiscare terre palestinesi. Lo era prima e lo è adesso. Approfittano del fatto che nessuno li sta guardando per prendersi la terra».

IL LEGAME tra movimento dei coloni, esercito e governo è presente fin dall’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est nel 1967. Con il tempo si è così radicalizzato da produrre una vera e propria sovrapposizione, di funzioni ufficiose e autorità ufficiale.

«I coloni in Cisgiordania non sono protetti dal governo. Sono il governo», inizia così Yehuda Shaul, co-fondatore del movimento pacifista di ex soldati Breaking the Silence e oggi all’Ofek Center. Yehuda ha servito a Hebron tra il 2000 e il 2004. Tolta l’uniforme, ha cambiato vita e visione. Da due decenni è impegnato in Area C, con tanti attivisti israeliani a difesa della popolazione palestinese.

Non è più facile come prima: «Una volta la nostra presenza garantiva protezione. Oggi non è più così. I coloni picchiano anche noi. Ci sparano anche addosso, è successo nel villaggio di at-Tuwani pochi giorni fa. In quello di Qadi al-Siq, cinque attivisti sono stati catturati dai coloni, picchiati e tenuti prigionieri per cinque ore».

Una nuova aggressività che Shaul imputa alla deriva religioso-nazionalista degli ultimi esecutivi israeliani, fino al picco del novembre 2022 con la nascita di un governo di ultradestra.

«La relazione tra governo e coloni è simbiotica: i soldati sono i coloni e i coloni sono i soldati. In Cisgiordania l’esercito opera tramite Brigate regionali. Nel consiglio della brigata siedono i capi della sicurezza delle singole colonie. Sono degli sceriffi, pagati dal ministero della difesa e a cui è attribuita la scelta delle regole d’ingaggio dell’esercito dispiegato in quel determinato territorio».

Partecipano agli incontri settimanali della Brigata regionale insieme ai brigadieri responsabili del distretto. Utilizzano l’equipaggiamento dell’esercito – radio, telefoni satellitari, droni – e impartiscono ordini ai soldati sul campo.

«L’IDEA fu di Ariel Sharon, negli anni Ottanta – continua Shaul – Le Brigate regionali fino a quel momento erano presenti solo lungo i confini del paese. Decise di applicare il modello anche in Cisgiordania attraverso il movimento dei coloni: civili con una loro precisa agenda del tutto integrati nella catena di comando dell’esercito e dunque del governo».

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A rafforzare i legami tra i due mondi, a sovrapporli, è anche la trasformazione interna alla società israeliana e ai vertici politici, trasformazione che si riflette nella composizione stessa dell’esercito: «Nel 1999 nella fanteria, l’unità che opera ogni giorno nelle strade dei Territori occupati, era presente solo un 2,3% di religiosi. Oggi sono circa il 40%. A determinare tale crescita è il cambiamento politico che ha investito le classi sociali: la crescente rappresentatività delle periferie più conservatrici contro le città più liberali, il boom della destra a sfavore della sinistra sionista…i giovani più ricchi e istruiti non vanno in fanteria ma in reparti considerati da sempre più nobili, l’aviazione, la marina, la cyber-sicurezza. È l’élite dell’esercito, quella che abbiamo visto nelle piazze in questi mesi contro la riforma della giustizia».

Nelle strade della Cisgiordania occupata cresce invece il numero di israeliani più religiosi, nazionalisti, spesso loro stessi coloni. I palestinesi dei villaggi di Area C lo ripetono da mesi: i coloni che prima ci aggredivano oggi si presentano con l’uniforme.

Soprattutto quelli dei piccoli insediamenti, gli outpost a volte nemmeno riconosciuti ufficialmente dalla legge israeliana: «La classe media vive nelle grandi colonie lungo il muro, i fanatici e gli estremisti vivono nei piccoli insediamenti nella Valle del Giordano, intorno a Nablus, a sud di Hebron – continua Shaul – Sono la nuova generazione dell’espulsione forzata di palestinesi, minuscoli insediamenti che controllano enormi pezzi di terra e che sono stati costruiti di modo da circondare le comunità palestinesi».

UN FENOMENO, aggiunge, iniziato alla fine degli anni Novanta nel sud di Hebron e a est di Nablus, cresciuto a dismisura dopo il 2009 con il ritorno di Netanyahu a premier.

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Sul tavolo il vecchio Piano Allon, politica di annessione formulata nel 1967: la divisione della Cisgiordania nord da quella sud attraverso un corridoio da Gerusalemme alla frontiera giordana e la separazione dalla Giordania con un secondo corridoio lungo il fiume Giordano.

«Quel piano prevedeva che la Valle del Giordano venisse definitivamente annessa – conclude Shaul – per fare sia da zona cuscinetto tra Cisgiordania e mondo arabo sia da separazione fisica tra i palestinesi residenti in Israele e palestinesi dei Territori. Il Piano Allon non è stato mai realizzato per la presenza di un numero troppo grande di palestinesi lungo i due corridoi desiderati. Ma è rimasto sempre sul tavolo. Oggi a portarlo avanti è il movimento dei coloni attraverso l’espulsione di decine di comunità palestinesi».