Internazionale

Silvio, hai sentito parlare dell’«effetto Dalai Lama»?

Quel pasticciaccio brutto dell’acquisizione del Milan La telenovela «milanista» sembra non avere fine, tra banche che si sfilano controlli incrociati, bufale, rumors, dicerie, società create al volo e hedge found speculativi. L’intera vicenda ha preso la piega già vista con la trattativa tra Berlusconi e il broker thailandese Bee Taechaubol

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 31 marzo 2017

Si chiama effetto Dalai Lama. A studiarlo sono stati nel 2010 Andreas Fuchs e Nils-Hendrik Klann, economisti dell’università di Gottingen, analizzando le ricadute commerciali, in mancate intese con Pechino, successive agli incontri del leader spirituale tibetano con capi di Stato, di governo e leader politici.

LA TELENOVELA Anche questa variabile è entrata in ballo per tentare di dare un senso alla telenovela della cessione del Milan da Fininvest a una cordata di investitori cinesi, guidata dall’enigmatico uomo d’affari Li Yonghong, tramite il veicolo Sino-Europe Sport, fondato a maggio del 2016 con un capitale di 100 milioni di renminbi, pari a circa 13 milioni di euro.

È lo scorso 20 ottobre quanto, tra le proteste della comunità cinese, il sindaco di Milano Beppe Sala incontra Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama cui il presidente del Consiglio Comunale, Lamberto Bertolè, conferisce la cittadinanza onoraria facendo infuriare l’ambasciata della Repubblica popolare in Italia.

Per Pechino infatti il leader tibetano non è soltanto una figura religiosa, ma un capo politico che «promuove attività separatiste contro la Cina».

L’accoglienza meneghina ha rischiato quindi di portare con sé «un impatto negativo sui rapporti bilaterali e sulle cooperazioni tra regioni».

Fatto sta che la finalizzazione della cessione dei rossoneri , che sarebbe già dovuta avvenire a luglio del 2016, slitta (e non sarà l’ultima volta).

Dietrologie a parte, tale spiegazione non convince a pieno gli addetti ai lavori. Addirittura, scrive Alessandra Spalletta sull’Agi, il nuovo patron cinese dell’Inter, Zhang Jidong «si sarebbe detto incredulo per una simile ricostruzione».

LA POLITICA In tutta la vicenda la politica viene tirata in ballo fin dall’inizio. È sempre l’Agi a raccontare di un episodio che risale al 2011. Un’epoca fa. Al governo in Italia c’era ancora Silvio Berlusconi, mentre il capo di Stato cinese Xi Jinping era all’epoca invece soltanto vice presidente, già allora comunque con la passione per il pallone, tanto da aver domandato al Cavaliere se avesse intenzione di vendere il Milan. Questo episodio spiegherebbe quindi il perché lo stesso Berlusconi confermò di essere in trattativa con uno Stato.

Ma di statale nella misteriosa cordata i cui nomi sono rimasti fino all’ultimo sconosciuti c’è stato fino ai primi di marzo Huaxia Capital, fondo di venture capital di Fuzhou, indicato quasi da subito tra i finanziatori di Li assieme al China Huarong Asset Management Corporation, uno dei quattro colossi della gestione finanziaria nati alla fine degli anni Novanta su input governativo.

L’identità dei possibili finanziatori pronti a mettere assieme i 740 milioni di euro necessari all’operazione (520 per le quote più 220 milioni di debiti con le banche) è restato a lungo un mistero.
Sarebbe esistito un elenco di una decina di aziende. Le voci si rincorrono, tanto più dopo l’acquisto dell’Inter per 270 milioni.

Suning è un gruppo solido, con 16mila negozi di elettronica ed elettrodomestici sparsi tra Cina, Hong Kong e Giappone. Quanto agli investitori interessati al Milan, invece, si è parlato di Alibaba, il cui fondatore, Jack Ma, sembra aver trovato un certo feeling con Matteo Renzi, fino allo scorso dicembre alla guida del governo.

Per il colosso dell’e-commerce non sarebbe neppure il primo investimento del calcio, essendo già nel capitale dei campioni di Cina del Guangzhou Evergrande.

L’ipotesi si è rivelata però poco più di una suggestione, così come il presunto interesse di Robin Li, fondatore di Baidu, il Google cinese, o di Kweichow Moutai, gruppo a controllo statale che produce superalcolici.
Viene fatto anche il nome di Hutchison Whampoa, conglomerata che fa capo al magnate Li Ka-shing, a lungo l’uomo più ricco dell’Asia.

Alla fine nessuno di questi possibili investitori si rivelato vero. L’intera vicenda ha preso la piega già vista con la trattativa tra Berlusconi e il broker thailandese Bee Taechaubol, proveniente da una ricca famiglia di Bangkok , diventato il volto di possibili investitori asiatici e di almeno due banche pronti ad entrare nel capitale dei rossoneri .

TRUFFE AI RISPARMIATORI A ciò si aggiungono le notizie riportate dalla stampa cinese in merito a una vecchia accusa di truffa ai danni di 18mila risparmiatori che tocca da vicino Li.

La storia è apparsa sullo Shanghai Zhengquan, quotidiano finanziario legato alla Xinhua, ripresa in Italia dal Corriere della Sera. La stessa agenzie ufficiale racconta inoltre di una società legata a Li che avrebbe millantato la firma di un memorandum d’intesa tra Thailandia e Cina per costruire un canale artificiale. Il capocordata ha smentito le ricostruzioni.

Se la capacità di Sino Europe Sport di racimolare il capitale necessario a rilevare il Milan è stata messa in discussione da alcuni osservatori internazionali, a complicare i giochi e frenare gli entusiasmi ci hanno pensato le restrizioni alla fuoriuscita di capitali dalla Cina decise lo scorso autunno per evitare uno svalutazione troppo repentina dello yuan sul dollaro.

Nelle scorse settimane anche il numero uno della Safe, l’amministrazione statale che gestisce le riserve estere della Cina, è intervenuta per stigmatizzare alcune puntate dei magnati d’oltre Muraglia sul calcio europeo.
L’espansione all’estero ha il placet supremo di Xi Jinping, intenzionato a far diventare il Paese una potenza del pallone.

Le acquisizioni «sono un bene se contribuiscono ad alzare il livello del calcio in Cina», ha spiegato Pan Gongsheng . Timore dell’alto funzionario è però che «molte società con un alto livello di indebitamento stiano ricorrendo a prestiti per fare acquisizioni all’estero. Altre invece portano asset fuori dai confini, mascherati da investimenti diretti esteri».

CAPARRE E CLOSING Parole che collidono con la soluzione scelta da Sino-Europe per versare le caparre necessarie a tenere vivo il dialogo con Fininvest. I primi 100 milioni sono stati versati il 6 agosto.

Altri 100 milioni sono stati pagati puntualmente il 13 dicembre, nonostante mancassero le necessarie autorizzazioni.
Le risorse necessarie sono arrivate dalla Willy Shine International Holdings Limited, società con sede alle Isole Vergini Britanniche, parte della galassia di scatole cinesi che ruota attorno a Sino-Europe.

Dallo stesso paradiso fiscale arriva anche la terza caparra, pagata a rate, che ha permesso di far slittare la chiusura dell’affare fino al 14 aprile.

Al momento è questa la data prevista per l’assemblea di Fininvest, sempre che nel frattempo non incorrano altri incidenti di percorso.

Nel mentre i finanziatori hanno lasciato solo Li. Una dopo l’altra le banche coinvolte, Haixia e Huarong si sono sfilate proprio per via dei controlli più stringenti sui capitali.

Accantonata Ses, l’operazione sarà completata tramite Rossoneri Sport Investment Lux, holding lussemburghese fondata lo scorso 21 dicembre.

Sul destino del Milan volteggia anche Elliot, l’hedge fund speculativo, specializzato nel comprare debito di aziende in fallimento e nazioni.

A quanto pare sosterrà Li con circa 250 milioni. Ma il susseguirsi degli eventi rischia di far perdere la faccia alla Cina che vuole dare la scalata al calcio.

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