Silvia Giambrone, intervista visiva #06
Silvia Giambrone, Agrigento (1981); vive e lavora tra Roma e Londra. Lavora con performance, installazione, scultura, video, suono. La sua ricerca è incentrata sulle forme sotterranee di assoggettamento. Negli ultimi quattro anni vince numerosi premi e partecipa a numerose conferenze e residenze in Europa e Stati Uniti. E’ stata ambasciatore per Kaunas città europea della cultura 2022. Vince il Premio VAF 2019.
Lavora con Richard Saltoun Gallery a Londra, Stefania Miscetti Studio a Roma, Prometeo Gallery a Milano.
Pensi che l’arte possa avere un valore sociale?
Penso che possa avere un valore sociale quando si offre come connettore spirituale. Credo che l’arte sociale per eccellenza sia paradossalmente la poesia, quella che più di tutte si sottrae agli aspetti più pragmatici dell’esistenza ma che ti riconnette con parti di te stesso che sono i veri e propri campi di battaglia della nostra resistenza psichica ad una realtà sempre più esposta alla violenza. Quiete e tempesta servono a creare le condizioni per accogliere davvero l’altro con le sue contraddizioni e differenze e per lasciarsi accogliere dall’altro.
Come lavori? Qual è la tua quotidianità?
La mia quotidianità è sempre diversa e non potrebbe che essere così, va continuamente riorganizzata e ripensata perché, se da qualche tempo ho bisogno di alcuni riti, da sempre mal sopporto la routine.
In certi periodi mi dedico molto alla lettura, alla ricerca in senso più classico, in altri invece viaggio tanto e la mia vita diventa molto frenetica. In altri mi dedico alla progettazione e la mia quotidianità diventa più densa e programmatica, in altri ancora mi diverto e basta.
In questo momento specifico la mia vita, per una serie di circostanze, è fatta prevalentemente di relazioni. Dedico molto tempo alle mie relazioni affettive e lavorative ed è nel vivere ma anche nell’osservare le dinamiche relazionali della mia vita e quella altrui che si trova tanto di quello che sta nel mio lavoro.
Vivo in una costante tensione estetica e sinestetica rispetto alla realtà con l’urgenza e l’ambizione di trasformarla. Cerco di ascoltarne le immagini, di visualizzarne i silenzi, cercando così di diventare io stessa un tramite, un linguaggio per le cose mute che popolano la realtà nella quale viviamo.
Scegli un luogo. Come lo trasformeresti?
Cercherei di ascoltare e poi far emergere quelle tensioni che sono già esistenti ma non ancora visibili, cercherei di tirare fuori il potenziale poetico e politico del luogo in questione. Per me si tratta spesso di lasciar emergere criticamente in superficie piuttosto che di imporre anche perché credo e so per esperienza che per sconvolgere in profondità bisogna reinterpretare e sovrascrivere invece che imporre. I turbamenti seguono leggi forse non universali ma decisamente molto riservate.
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