Economia

«Siamo in un’economia di guerra»

«Siamo in un’economia di guerra»Conferenza stampa in videoconferenza dopo il G7 di Ursula von der Leyen e Charles Michel – Ap

Coronavirus Drammatico annuncio del presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno: "Non dobbiamo illuderci: sono i primi passi di una battaglia temporanea e lunga. Il contenimento sta portando l’economia ai tempi di guerra". Una metafora dilagante a tutti i livelli che serve a rinserrare la popolazione nelle file di un esercito immaginario, ma rischia anche di occultare un cambio di paradigma. Ieri sono di nuovo crollate le borse: l’azione della Fed non è servita, Wall Street ha fatto di nuovo peggio del 1987, Milano a meno 6%. Verso un coordinamento delle politiche fiscali a livello Ue. Gentiloni: «Pronti a qualunque azione»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 17 marzo 2020

La chiusura dei confini, l’interruzione delle catene globali di approvvigionamento, il blocco progressivo e velocissimo delle attività economiche e sociali («lock down») disposto dalle direttive governative per il contrasto della diffusione del «Coronavirus» stanno creando un’«economia di guerra». Lo ha detto ieri il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno. Tanto più diventano stretti i criteri dell’emergenza, tanto più si crea una crisi verticale dell’offerta che, a sua volta, prosciuga la domanda e, in tempi non troppo lunghi, si rischia di innescare una reazione a catena che può portare a una restrizione dell’offerta di credito da parte delle banche nei confronti di famiglie e imprese. Il crollo dei circuiti che innervano il capitalismo globale potrebbe essere un altro effetto di quella che ieri i capi di stato che si sono riuniti in una videoconferenza nel «G7» hanno definito una «tragedia mondiale dell’umanità e una crisi sanitaria globale». Da qui l’insistenza dei governi, della Commissione Ue e delle banche centrali (dalla Bce, a parte le gaffe di Christine Lagarde, alla Fed ) di garantire una liquidità a un’economia che rischia di averne sempre di meno. Subito, ad ogni costo («whatever it takes»), per il periodo ancora indefinito di una crisi lunga e incerta.

A NULLA È SERVITO il taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve né l’impegno dei membri del G7 a coordinare le loro azioni contro il virus e sostenere una remota «ripresa economica». Il Dow Jones a Wall Street ieri ha perso il 12,94%, un altro record negativo dalla crisi del 1987. Milano ha chiuso a -6,1% bruciando 18,3 miliardi. La Consob è tornata a vietare temporaneamente le vendite allo scoperto su 20 titoli per oggi. Il virus che ha infettato la finanza e l’industria ha bruciato 255 miliardi di capitalizzazione. È aumentato lo spread tra Btp e Bund tedeschi a 262 punti base nonostante i forti acquisti di Btp da parte della Bce. Il blocco della produzione ha contagiato gli impianti europei dei principali produttori di auto, provocando crolli superiori al 10% dei loro titoli: Fca meno 14,5%, Renault -12,9%, Volkswagen -12,2%, Bmw -11,7%, Daimler -10,6%. In allarme le compagnie aeree: -27% per British e Iberia. La maggior parte di queste compagnie rischia la bancarotta entro la fine di maggio. Ryanair non esclude il blocco delle attività. Per Goldman Sachs il virus potrebbe abbattere di cinque punti il Pil dell’economia Usa nel secondo trimestre.

I «BAZOOKA» MONETARI non hanno effetto. La crisi attuale colpisce l’«offerta» e la «domanda», contemporaneamente. Non deriva dall’esplosione di una bolla speculativa dei mutui subprime come nel 2007-2008. L’idea che sta circolando è garantire un’immensa liquidità verso l’economia «reale». Così si pensa di contrastare gli effetti prodotti dal blocco delle attività. Resta tuttavia da capire come si potrà spendere questo denaro se le attività resteranno chiuse per un tempo che potrebbe essere lungo alcuni mesi, e gli effetti durare anni. Una prospettiva che potrebbe aprire il campo a una radicale discussione del sistema economico e di quello sociale investito da una crisi così virulenta. In questa prospettiva i 25 miliardi di euro stanziati dal governo italiano appaiono irrilevanti. Saranno necessarie ben altre misure.

STA CIRCOLANDO in questi giorni tra gli aruspici della finanza l’ipotesi per cui  una svolta potrebbe arrivare dalla comunicazione di un vaccino contro il Covid 19. Speranza remota, sebbene si siano intensificati gli annunci della sperimentazione di varie soluzioni. Sempre che arrivi in tempi non prevedibili si tratterà di capire cosa resterà dell’economia che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

DOPO I DISCORSI di Macron giovedì e ieri, gli interventi di Merkel e l’insistenza ieri dell’Eurogruppo la drammatizzazione è arrivata al diapason a livello continentale, mentre sembra rafforzarsi l’idea di un coordinamento di politica economica tra i governi europei. «Assicureremo che le regole di bilancio e quelle per gli aiuti di stato non impediscano di sostenere le nostre economie. La flessibilità c’è e sarà pienamente utilizzata. Ma la battaglia durerà a lungo», ha sottolineato il suo presidente Centeno, non diversamente da quanto assicurato dalla Bce e dalla stessa Commissione Ue. «Ci serve un coordinamento senza precedenti sul bilancio. Siamo pronti a tutto» ha detto il commissario Ue agli affari economici Paolo Gentiloni. L’approvazione della riforma del meccanismo europeo di stabilità (Mes) è stata rinviata con le sue polemiche. Per Gentiloni è «uno strumento straordinario» per affrontare la «crisi». «È arrivata una risposta coordinata e significativa» ha detto il ministro dell’economia Gualtieri. Per ora, il «patto di stabilità e crescita» che abbiamo visto in questi anni in Europa resta «sospeso». Nel medio periodo potrebbero diventare archeologia economica.

È EMERSA inoltre la consapevolezza che le misure fino ad ora disposte a livello internazionale sono insufficienti. Il direttore generale del Fmi Kristalina Georgieva ha detto che a questa economia servono stimoli per «prevenire danni duraturi» e l’azione dei governi deve essere concertata, non frammentaria come in questo momento. Gli stimoli di bilancio del G20 furono il 2% del Pil nel 2009, circa 900 miliardi di dollari di oggi. Nella nuova crisi ne servirebbero mille. Potrebbero non bastare in quella che è definita, ad ogni livello, come una guerra.

LA METAFORA DELA GUERRA circola dappertutto in questi giorni, alimenta il discorso pubblico e mediatico. Non indica una guerra contro un nemico “umano”, ma contro una “minaccia” che interrompe il normale corso di una vita identificato con il “progresso”, la “crescita”, la realtà identificata con il capitalismo che oggi scopre dentro di sé un’anomalia che ha inceppato la sua corsa. La metafora della guerra, sanitaria e non militare, affermata con forza ieri anche da Macron, serve inoltre a rinserrare la popolazione nelle file di un esercito immaginario schierato contro una presenza inquietante che, in realtà, si trasmette da essere umano a essere umano. Questo uso di un concetto emblematico può favorire cortocircuiti di ogni tipo, a cominciare da una radicale immunizzazione dalle relazioni per un tempo indefinito e con il rischio di conseguenze auto-distruttive. La guerra economica potrebbe anche portare a un’economia della sopravvivenza, una volta riscontrata l’inutilità dei tentativi di riavviare la macchina a lungo termine. Per il momento ha portato alla sospensione della riforma delle pensioni e dell’università in Francia osteggiate da un movimento di massa e alla progressiva e disordinata chiusura dei confini interni ed esterni agli Stati colpiti dalla pandemia.

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