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Si spara nelle strade di Ouagadougou, caos e voci di nuovo golpe

Si spara nelle strade di Ouagadougou, caos e voci di nuovo golpeOuagadougou, 30 settembre 2002. Slogan anti-giunta militare e bandiere russe mentre si spara nelle strade della capitale – Ap

Burkina Faso Proteste e ammutinamento contro la giunta militare che ha preso il potere in febbraio. Causa scatenante gli attacchi jihadisti fuori controllo che nel nord del paese hanno già provocato 2 milioni di profughi e 4 mila morti. Oscurata la tv di stato

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 1 ottobre 2022

Confusione e voci di «tentato golpe» ieri a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove si è sparato per tutta la giornata – senza notizie accertate di vittime – in diverse aree residenziali vicino ai ministeri e intorno alla base di Baba Sy, quartier generale della giunta militare guidata dall’attuale presidente ad interim, il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba. Alcune strade della capitale sono state bloccate dai soldati. In particolare si è combattuto nel distretto di Ouaga 2000, dove si trovano la presidenza, alcune basi militari e la sede della radio televisione del Burkina Faso (Rtb), che ha interrotto la sua programmazione.

In un comunicato stampa, pubblicato nel pomeriggio sulla pagina facebook della presidenza, Damiba ha invitato la popolazione «alla prudenza e alla calma» e ha indicato che sono in corso dei colloqui per risolvere «una situazione confusa, creata dal malcontento di alcuni elementi delle forze armate nazionali e dalla difficile situazione sulla sicurezza nel paese», indicata dalla giunta militare, salita al potere lo scorso febbraio, come una «priorità».

La causa scatenante delle tensioni di ieri è l’attacco di questo martedì a un convoglio di rifornimenti vicino a Gaskindé, il cui bilancio provvisorio riporta una quindicina di morti tra i militari burkinabé e ingenti danni materiali. Attentato che si aggiunge a quello di due settimane fa contro un altro convoglio di rifornimenti lungo la strada che collega Djibo a Bourzanga, nel nord del Burkina Faso, in cui sono morti oltre 42 civili.

Negli ultimi mesi i convogli, scortati dall’esercito, riforniscono di cibo, acqua e carburante le città del nord soggette al blocco dei gruppi jihadisti – il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (Gsim), ramo saheliano di Al-Qaeda, e lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) in lotta per la supremazia nell’area – che recentemente hanno distrutto ponti e infrastrutture, bloccando anche le telecomunicazioni, nel tentativo di isolare le due principali città di Dori e Djibo.
Gli ultimi attentati hanno riacceso le tensioni all’interno dell’esercito dove alcuni sostenitori del tenente colonnello Emmanuel Zoungrana hanno protestato nella giornata di ieri manifestando nella centrale Place de la Nation la loro rabbia per la sua lunga detenzione «per tentato colpo di stato».

Manifestazione che si aggiunge a quella di giovedì a Bobo-Dioulasso, seconda città del paese, con centinaia di persone che hanno richiesto l’interruzione della collaborazione militare con la Francia e le dimissioni di Damiba per «incompetenza nella gestione della sicurezza nel paese».

Nonostante i proclami del governo, che afferma di aver «migliorato la situazione» con l’aumento di «azioni offensive», oltre alla notizia del rafforzamento della «collaborazione militare con Mosca», il Burkina Faso è diventato l’epicentro della violenza jihadista nel Sahel, molto più che Mali e Niger, con oltre 2 milioni di profughi e 4mila vittime nel 2022.

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