«Ogni partito politico ha il diritto di prendere una decisione. L’assenza di un partito alle elezioni non significa che non ci sia democrazia». Così ieri nella sua residenza ufficiale di Ganabhaban, nella capitale Dacca, Sheikh Hasina, a capo della Lega Awami, ha celebrato con una conferenza stampa la vittoria alle elezioni di domenica.

Vittoria ampiamente annunciata, per il boicottaggio del primo partito di opposizione, il Partito nazionalista (Bnp), e della fortissima repressione contro oppositori e società civile nei mesi precedenti. Un voto legittimo, trasparente e democratico, assicura Sheikh Hasina, che incassa il suo quarto mandato consecutivo, il quinto in assoluto, e il primato di prima ministra donna più longeva al mondo.

L’arrivo di Sheikh Hasina per la conferenza stampa nella sua residenza (Ap)

L’opposizione del Bnp continua invece a contestarne la legittimità. Parla di una farsa e chiede un nuovo voto, come successo in passato quando la credibilità del processo elettorale era così bassa da far crescere la pressione sul governo in carica. Difficile che accada questa volta: Hasina ieri è tornata a definire «partito terrorista» il Bnp, galvanizzato dall’ampliamento del fronte anti-governativo, ma penalizzato dagli arresti. La vittoria non sembra farle adottare una postura più distesa, come confermato dal segretario generale della Lega Awami, Obaidul Quader: il Bnp ha perso un’occasione e la prossima sarà tra 5 anni.

ORA OCCORRE FORMARE il nuovo governo, che potrebbe essere annunciato già il 15 gennaio. Mentre prende forma la composizione del Parlamento. Erano 298 i seggi da assegnare (per due, il voto è stato posticipato): 222 vanno alla Lega Awami, 62 a candidati indipendenti (ma alcuni sono affiliati all’Awami e si presentavano come indipendenti per mostrare maggior pluralismo), 11 al partito Jatiya, che qualcuno accusa di essere diventato la terza gamba del governo (tanto che la lega Awani ha ritirato alcune candidature per permettergli di ottenere più seggi). Tre seggi ai candidati di partiti minori.

Un Parlamento espressione della volontà del popolo, che Sheikh Hasina guiderà «con fare materno». Perché «è mio dovere servire il mio Paese» e «la cosa più importante» non sono le critiche che vengono da fuori, ma «la partecipazione». Hasina rivendica il 41,8% di affluenza contestato dall’opposizione ma di cui la Commissione elettorale, dopo alcuni balblettii, è sicura. Ben inferiore all’80% e passa delle elezioni del 2018. Ma superiore alle altre elezioni “dimezzate”, senza cioè l’opposizione. Che diffonde video e testimonianze sulle irregolarità (40 le persone arrestate, secondo la Commissione elettorale). Mentre al contrario sui canali ufficiali della Lega Awami spopolano le testimonianze degli osservatori esterni, specie occidentali.

I PRIMI A CONGRATULARSI con Hasina sono stati i rappresentanti dei governi cinese, indiano e russo. È invece dal blocco euro-atlantico che nei mesi scorsi sono piovute le richieste più pressanti per elezioni libere e trasparenti: il governo Usa ha annunciato il diniego del visto per chiunque ne avesse compromesso l’integrità, e l’Unione europea aveva detto a settembre 2023 che non c’erano le condizioni per inviare un gruppo di monitoraggio. Così, sono spuntati osservatori dal curriculum dubbio, presentati come rappresentanti istituzionali. I governi canadesi e britannico hanno dovuto precisare: qualunque nostro cittadino è lì per conto proprio. In attesa di reazioni ufficiali (e di eventuali sanzioni) di Bruxelles e Washington, incerte tra posizioni di principio e interessi commerciali e strategici, a raffreddare l’entusiasmo della Lega Awami è stato Volker Türk, alto commissario Onu per i Diritti umani.

«Nei mesi precedenti il voto, migliaia di sostenitori dell’opposizione sono stati detenuti arbitrariamente o sottoposti a intimidazioni», ha dichiarato Türk, ricordando «i circa 25.000 sostenitori dell’opposizione» arrestati dopo la grande manifestazione del 28 ottobre, tra cui «almeno 10 morti o uccisi» durante la detenzione. Per poi implorare il governo di garantire che quella bangladese diventi «una democrazia veramente inclusiva», perché «in Bangladesh la democrazia è stata conquistata con fatica non deve diventare cosmetica».

PAROLE VUOTE PER HASINA, che ribalta il riferimento alla lotta per l’indipendenza ottenuta nel 1971: «Le definizioni di democrazia sono diverse», ha detto nella conferenza di ieri a Ganabhaban. «Qui i diritti delle persone sono assicurati. Il diritto al voto e il diritto al cibo». E ancora: «Abbiamo liberato questo Paese con grandi sacrifici e ora siamo un Paese sovrano».