La lady di ferro asiatica, Sheikh Hasina, ieri è stata costretta alle dimissioni e a lasciare il Bangladesh, Paese che ha governato con mano durissima per 15 anni consecutivi. Sono stati gli studenti a dare la stura a un movimento che è cresciuto nelle ultime settimane e che ha innescato una svolta epocale, uno spartiacque storico tra il prima e il dopo, un dopo che comincerà con un governo di transizione, come annunciato in tv dal capo dell’esercito, il generale Waqer Uz-Zaman.

INASPETTATA fino a pochi mesi fa, la destituzione di Sheikh Hasina, leader dell’Awami League e al potere ininterrottamente dal 2009, è il sedimento di anni e anni di contrazione di ogni spazio di dissenso e di repressione violentissima di tutte le opposizioni, politiche e civili. Il governo bangladese è ricorso a un copione drammaticamente conosciuto dalla popolazione: arresti arbitrari, incarcerazione di massa e omicidi extragiudiziali sono gli strumenti usati anche contro gli attivisti del movimento “antidiscriminazione”. Inaugurato a Dacca all’inizio di luglio, ha preso avvio dopo che una corte della capitale il 5 giugno aveva accolto il ricorso di alcuni famigliari dei combattenti per l’indipendenza dal Pakistan, ottenuta nel 1971. Grazie alla decisione dei giudici, era stata così reintrodotta una norma che garantiva il 30% dei posti nell’impiego pubblico agli eredi dei combattenti.

PRIMA A DACCA, poi nelle altre grandi città di questo Paese da 170 milioni di abitanti con una fortissima spinta demografica e un importante legame migratorio anche con l’Italia, le manifestazioni degli studenti hanno portato la Corte suprema a ridurre quella percentuale dal 30 al 5%. Ma al costo di almeno 200 vittime, tra cui 32 minori secondi i dati raccolti da Unicef. Così il governo aveva deciso di replicare alle richieste degli studenti, mobilitando anche gli scagnozzi della Chhattra League, la branca studentesca dell’Awami League. Sono seguiti giorni convulsi: arresti, incriminazioni, accuse di terrorismo e di complicità con i partiti dell’opposizione, leader studenteschi prelevati di forza, portati nelle caserme della polizia e costretti a registrare video in cui dichiaravano finite le manifestazioni.

LE BUGIE dei media filogovernativi e di Stato non hanno funzionato. Le proteste sono proseguite. Sheikh Hasina, convinta della propria forza, architetta e garante di un clima di impunità tale da rivendicare la vittoria alle ultime elezioni del gennaio scorso, boicottate dall’opposizione e viziate da arresti di massa e brogli, ha continuato a screditare i manifestanti. A respingere ogni richiesta di giustizia e trasparenza. E a invocare la mano pesante: almeno 90 i morti negli scontri di domenica 4 agosto. Ieri, lunedì 5, il giorno cruciale: nonostante il coprifuoco nazionale e il blocco delle comunicazioni, gli studenti hanno raggiunto Dacca per la «lunga marcia».

Obiettivo: le dimissioni di Sheikh Hasina. Secondo quanto riferito da Shafiqul Alam, capo corrispondenti della France Press a Dacca, non ha neanche avuto il tempo di registrare un discorso alla nazione, come avrebbe voluto. Il team della sua sicurezza l’ha esortata a lasciare Ganobhaban, la residenza ufficiale. Poco dopo che Hasina e sua sorella lasciavano il Bangladesh, destinazione India, in attesa – pare – di un lascia passare da Londra, migliaia di manifestanti entravano nella sontuosa dimora, portando via ogni cosa: frigoriferi, pesci, quadri, sedie, suppellettili.

A POCHE centinaia di metri, altri manifestanti entravano nel Parlamento. Protagonisti di un evento di portata storica, ma dagli esiti incerti. La transizione verso un governo a interim non sarà indolore. Molti manifestanti temono, innanzitutto, le ingerenze dell’esercito, ago della bilancia fondamentale. Chiedono un governo civile. Ma dovranno fare i conti con la paludata esperienza di partiti come il Bangladesh Nationalist Party (Bnp) e il Jamaat-e-Islami, il principale partito islamista del Paese, di recente nuovamente reso illegale da Sheikh Hasina e ora parte dell’agone ufficiale.

INVITATI in televisione, fascette alla testa con la bandiera bangladese, alcuni leader del movimento degli studenti hanno dimostrato maturità politica: invitano alla calma, dicono che è tempo di archiviare quella politica della “rivincita” che ha segnato drammaticamente la storia del Paese. E che serve un governo civile, non militare. Per ora, c’è solo la certezza che per Sheikh Hasina, come recita uno dei cartelli issati dai manifestanti, «game is over». L’ha confermato anche il figlio, Sajeeb Wazed, alla Bbc. Nessun rientro, nessun futuro politico per la Sheikh Hasina. Con la sua torsione autocratica è riuscita nell’impresa di offuscare perfino l’immagine del padre, Sheikh Mujibur Rahman, padre della patria e dell’indipendenza e intorno al quale aveva edificato un culto della personalità: alcune sue statue sono state demolite dalla folla.