«Il bambino maltrattato o che assiste alla violenza domestica ha molte più probabilità di diventare un adulto maltrattante. Nel caso di una bambina che subisce o assiste, aumentano invece le probabilità di diventare un’adulta vittima di violenza». È un dato «verificato attraverso studi e analisi di decenni», spiega la ricercatrice Valeria Emmi, curatrice dell’«Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia 2022» del Cesvi, rapporto giunto alla sue quinta edizione. Obiettivo numero uno di chiunque si occupi di questa piaga: «Interrompere questa trasmissione intergenerazionale», afferma.

L’analisi del Cesvi (una fondazione internazionale laica «per la cooperazione e lo sviluppo») è realizzata sia sui fattori di rischio che sui servizi e trova origine dalla selezione di 64 indicatori statistici, sulla base di quelli individuati dall’Oms, raggruppati in sei capacità secondo la teoria dell’«Approccio delle capacità nella prospettiva allo Sviluppo Umano» di Amartya Sen: cura di sé e degli altri (welfare e protezione), vivere una vita sana (salute), vivere una vita sicura (sicurezza e giustizia), acquisire conoscenza e sapere (istruzione), lavorare, accedere alle risorse e ai servizi. Sulla base di questi indicatori, il Cesvi stila una classifica delle venti regioni italiane, con una formula simile a quella applicata per la campagna «Sbilanciamoci».

«I fattori di rischio che analizziamo – spiega ancora Valeria Emmi – sono quelli strutturali, persistenti. Ci sono poi elementi di contesto che vanno ad aggravarli. La pandemia e tutta la crisi conseguente, con la difficoltà di accesso ai servizi e all’istruzione, ha esacerbato un gap già pre-esistente tra le regioni del nord e quelle del sud. Da cinque anni evidenziamo comunque un Paese spaccato in due, dove davvero chi nasce e cresce al sud ha maggiori possibilità di incorrere in casi di maltrattamento familiare. Perché i servizi che il sud riesce a fornire alla popolazione non permettono di abbattere questi fattori di rischio». Il basso livello di istruzione dei genitori, e in particolare della madre, o la povertà sono fattori di rischio fondamentali perché «riducono fortemente le opportunità di accesso alle informazioni, e la problematica rimane confinata alle mura domestiche». «Senza un sistema di welfare e servizi strutturati – aggiunge Emmi – noi non riusciamo, non solo a contrastare, ma neanche a intercettare le famiglie problematiche».

Come spiega il rapporto, «al di là della condizione socioeconomica delle famiglie, vivere in un quartiere povero può esporre a un maggiore rischio di maltrattamento: uno studio statunitense ha rilevato che una concentrazione di famiglie monoparentali, alloggi sfitti e alti tassi di disoccupazione in un quartiere erano associati in modo significativo (ma decrescente nel corso degli anni) a alti tassi di maltrattamento infantile».

Una novità del 2022, sottolinea Emmi, sta nell’«altissimo accesso da parte dei giovani ai pronto soccorso per tentati suicidi, episodi depressivi o per problematiche legate al cibo. Il Covid ha esacerbato una fragilità psichica che era latente e ha anche messo a dura prova gli operatori sanitari».
Scrive il Cesvi: «Tra le regioni con il più elevato livello di capacità di accedere alle risorse e ai servizi si rilevano il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige, la Toscana e l’Umbria. Tra le regioni con maggiori criticità si osservano invece il Molise, l’Abruzzo, la Sicilia e la Campania.

Nel confronto con la precedente edizione dell’Indice, le variazioni di posizione sono minime e tutte comunque condizionate dall’unico indicatore aggiornato sulla povertà relativa. Unica osservazione degna di nota riguarda la Basilicata, scesa di tre posizioni a causa di un significativo peggioramento della povertà relativa, salita tra il 2019 e il 2020 dal 15,8% al 23,4%». Le regioni virtuose sono quelle che «hanno sempre investito nei servizi e in politiche di protezione e welfare», precisa Valeria Emmi, mentre «la Campania in tutte le edizioni si conferma ultima in graduatoria, a elevata criticità perché gli investimenti in istruzione, in salute, in welfare e nella capacità di muoversi sul territorio non sono sufficienti. E nel 2022 la Campania registra addirittura un peggioramento».