La comunità scientifica è ancora scossa dopo l’inchiesta pubblicata da Science. La rivista ha accusato il francese Sylvain Lesné, uno dei principali ricercatori sul morbo di Alzheimer, di aver pubblicato dati manipolati dal 2006, indirizzando verso un vicolo cieco la ricerca di una cura. E questo spiegherebbe perché dopo molti anni di studi non vi siano farmaci davvero efficaci contro la malattia.

Il caso Lesné ha riacceso l’attenzione sul problema delle frodi scientifiche. È un tema aperto anche per chi deve valutare i farmaci come Nicola Magrini, direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa).

 

 

Professor Magrini, come fermare le frodi scientifiche?
L’onestà è fondamentale e l’integrità scientifica in ambito scientifico è il bene da difendere. Ma in Europa manca una legislazione a questo scopo e dobbiamo forse ragionarci e legiferare in materia. Chi fornisce dati manipolati deve poter essere punito, mentre oggi non ci sono sanzioni per chi viola i principi basilari della correttezza. Credo fermamente che sia un problema limitato e circoscritto a pochi casi ma è un problema su cui l’intera comunità scientifica deve essere attenta e vigile. È un tema su cui porre l’attenzione ma senza allarmismi.

Cosa possono fare le agenzie che valutano i farmaci?
L’Agenzia europea del farmaco (Ema) assieme alla agenzie nazionali dovrebbero avere maggiore capacità di fare ispezioni indipendenti sui dati in fase di valutazione dei farmaci e aumentare la capacità di rianalizzare gli studi clinici partendo dai dati grezzi. L’Ema potrebbe lavorare in questo senso a ulteriore garanzia del sistema attuale che ritengo sano nel complesso. Ma è un lavoro che richiede norme nuove e nuove risorse ad hoc.

Oltre alle frodi, negli ultimi anni si è discusso molto della scarsa verificabilità delle ricerche. Riguarda anche l’ambito dei farmaci?
Non sempre si lavora con basi di dati sufficientemente solide. È stato dimostrato in oncologia che basta classificare uno o due pazienti in modo errato perché uno studio perda significatività statistica. È un segnale che ci sono evidenze scientifiche che richiederebbero ulteriori conferme e studi comparativi più ampi. È innegabile che vi siano farmaci di cui sono stati ingigantiti i benefici ipotizzati in studi preliminari poi non confermati in studi rigorosi.

Come si fa a «abbellire» i dati su un farmaco?
Il modo più classico è stato quello di pubblicare solo i risultati positivi e non pubblicare i risultati negativi anche all’interno di un singolo studio. Un problema a cui si è data una soluzione con i registri degli studi clinici, che rende possibile capire quante sperimentazioni effettivamente svolte non hanno fornito risultati o solo risultati parziali. In altri casi, invece si scelgono accuratamente i parametri con cui valutare i farmaci e non sempre si misura il dato più importante, cioè la sopravvivenza del paziente e la sua reale qualità di vita.

Le ricerche sui farmaci sono solo una parte dell’intera ricerca scientifica. Però sono quella più rilevante per la società e le agenzie regolatorie hanno un ruolo assai delicato.
Da qui la necessità di vigilare maggiormente e potenziare la capacità delle agenzie di supportare e finanziare studi comparativi indipendenti e fare informazione indipendente. Un esempio? L’uso terapeutico del cocktail di anticorpi Evusheld è stato appena approvato sulla base di uno studio indipendente finanziato da Aifa. E anche sulla informazione indipendente che raggiunga tutti i medici e operatori sanitari occorre fare grandi investimenti assieme al servizio sanitario nazionale – basta leggere lo studio pubblicato sull’ultimo numero del New England Journal of Medicine che mostra la completa inefficacia della vitamina D nel prevenire le fratture. Andrebbe diffuso e fatto conoscere a tutti per ridurre l’uso di questo farmaco spesso usato in modo improprio ed eccessivo.

La frode sull’Alzheimer è stata scoperta da un altro ricercatore, non da un’agenzia regolatoria. Non basta il controllo della comunità scientifica?
Non tutta la ricerca passa per il vaglio delle riviste scientifiche. Chi sviluppa un farmaco può fare a meno delle pubblicazioni e limitarsi a fornire un dossier con i dati alle agenzie regolatorie, come Ema, Aifa o la statunitense Fda. Nelle agenzie, l’accuratezza dei dati deve essere massimamente garantita. Su questo vorrei essere chiaro e rappresentare questo aspetto come il più importante ed attualmente è ben garantito. Cosa diversa ed eccezionale a mio avviso riguarda i cosiddetti whistleblowers che vanno tutelati, essendo singoli che denunciano episodi di corruzione o manipolazione dei dati. Le due cose non si escludono ma sono piani differenti.

I dati sui farmaci non potrebbero essere semplicemente a disposizione di tutti, non solo delle agenzie regolatorie? Le aziende ne fanno una questione di copyright.
Non posso che schierarmi dalla parte di chi, come la Cochrane Collaboration e altri gruppi indipendenti chiede di accedere e analizzare liberamente i dati grezzi. Provo a spiegare il percorso dell’etica e della trasparenza e la sua evoluzione negli ultimi 30 anni. Si è dapprima messo a fuoco l’importanza dei conflitti di interesse (già negli anni ‘90) che oggi sono una routine acquisita, poi si è avuta la pubblicazione dei protocolli degli studi clinici dopo lo scandalo Vioxx (un antidolorifico ritirato dal mercato per i pesanti effetti collaterali a danno del cuore, ndr) e poi ora l’importanza di effettuare studi comparativi indipendenti e anche l’accesso ai dati per una rianalisi indipendente. Credo siano progressi coerenti.

L’emergenza pandemica, con vaccini e farmaci sviluppati e approvati a tempo di record, ha messo a dura prova il sistema di vigilanza sull’efficacia e la sicurezza. Che bilancio ne trae?
La pandemia Covid-19 ha avuto un effetto positivo, di rafforzamento dei sistemi regolatori globali. Nel complesso si sono tenuti gli standard più elevati per la registrazione sia dei vaccini sia dei farmaci e si sono sempre più richiesti studi randomizzati per validare e approvare nuovi trattamenti. Ciò si è visto molto bene dopo che studi di piccole dimensioni mostravano qualche beneficio di farmaci come l’idrossiclorochina o l’azitromicina, creando false aspettative e confusione ma si sono fatti studi rigorosi e più ampi che hanno dimostrato la totale assenza di benefici e semmai qualche rischio di troppo. La pandemia ha cioè rafforzato il ruolo degli studi randomizzati e la loro eticità e fattibilità anche in condizioni di emergenza. Nel complesso abbiamo più strumenti di ricerca e di controllo di prima.