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Senza negoziati né diritti, i palestinesi «votano» per la lotta armata

Senza negoziati né diritti, i palestinesi «votano» per la lotta armataCombattenti palestinesi nel campo profughi di Balata, Nablus – Ap

Palestina Un sondaggio mostra il cambiamento radicale e repentino nella società: il 72% vede con favore i gruppi armati che si oppongono all'esercito israeliano. Zero fiducia nell'Autorità nazionale anche tra la classe media, quella che negli anni passati temeva di più una sollevazione popolare

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022
Michele GiorgioGERUSALEMME

Scorrendo i risultati del sondaggio appena pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), il sociologo Khalil Shikaki non esita a parlare di un «cambiamento radicale avvenuto in pochi mesi» nell’opinione pubblica palestinese, in particolare in Cisgiordania.

Il dato che più di altri balza all’occhio è quello dell’aumento netto, rispetto al sondaggio precedente, del sostegno alla lotta armata contro l’occupazione israeliana. «Il 72% dei 1.200 intervistati si è detto favorevole alla nascita di gruppi armati simili alla Fossa dei Leoni», dice Shikaki riferendosi all’organizzazione che ha la sua roccaforte nella casbah di Nablus e che riunisce militanti di diversi orientamenti politici.

UNA CRESCITA che Shikaki vede anche conseguenza anche dell’escalation in Cisgiordania dove si ripetono, quasi con frequenza quotidiana, i raid dell’esercito israeliano. Il bilancio provvisorio di palestinesi uccisi nel 2022 è di 166, tra i quali donne e minori.

Di pari passo, sottolinea il sociologo, «Stiamo assistendo a un calo evidente nella percentuale di coloro che appoggiano la soluzione a due Stati (Israele e Palestina), data l’assenza di negoziati diplomatici». Il sostegno a una risoluzione negoziata del conflitto è ora al 32%. Un decennio fa il supporto si attestava al 55%.

Il sondaggio ha solo rivelato in cifre ciò che è palpabile nelle strade della Cisgiordania. L’assenza di qualsiasi prospettiva di una soluzione politica all’occupazione cominciata nel 1967 e l’intensificarsi della campagna militare israeliana, sembrano aver convinto un numero crescente di palestinesi, soprattutto quelli più giovani, che l’unica opzione sia quella armata.

Nel frattempo, gran parte della popolazione perde fiducia nell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. L’87% degli intervistati ha detto ai ricercatori del Pcpsr che l’Anp non ha il diritto di arrestare i membri dei gruppi armati per impedire gli attacchi all’esercito israeliano. Il 79% si è anche detto contrario alla resa dei combattenti e alla consegna delle loro armi all’Anp.

QUESTI NUMERI assumono una rilevanza maggiore se si tiene conto che la classe media palestinese – formata in prevalenza da impiegati dell’Anp, da imprenditori e professionisti – è stata negli ultimi venti anni in buona parte contraria non solo alla lotta armata ma anche riluttante ad appoggiare una nuova Intifada popolare contro l’occupazione poiché avrebbe messo in discussione il suo status. Una posizione che, spiegano gli analisti palestinesi, è mutata di fronte alla insostenibilità dell’occupazione che dura da 55 anni.

Gli imprenditori, piccoli e grandi, solo per fare un esempio, incontrano difficoltà crescenti a operare negli stretti margini consentiti da regole e procedure imposte dall’Amministrazione Civile (Ac) israeliana, che per conto delle forze armate è responsabile della gestione della vita quotidiana di milioni di palestinesi, a eccezione delle competenze specifiche dell’Anp di Abu Mazen.

L’Ac, attraverso la concessione di permessi di lavoro in Israele a 140mila manovali palestinesi, ha reso dipendente dallo Stato ebraico una quota significativa di famiglie cisgiordane, pur migliorando le loro condizioni di vita. Allo stesso tempo, non ha fatto nulla per tutte le altre.

I PALESTINESI, dall’operaio all’imprenditore, sono soggetti ogni giorno all’ottenimento di permessi, autorizzazioni e altro ancora da parte degli occupanti mentre, talvolta a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni, i coloni israeliani godono di libertà di movimento e pieni diritti. Anche questi aspetti si riflettono nei risultati del sondaggio del Pcpsr.

E i palestinesi si attendono un peggioramento del quadro generale quando entreranno in carica i ministri, nonché leader della destra ultranazionalista, del nuovo governo israeliano. Il 61% degli intervistati pensa che l’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu sarà più estremista, il 64% si aspetta che il prossimo governo espellerà le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il 68% che evacuerà con la forza i beduini palestinesi di Khan al-Ahmar e il 58% che cambierà lo status quo alla moschea Al-Aqsa. Previsioni certo non infondate.

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