Palestinesi in piazza, divieti e polemiche. Oggi il ricorso al Tar
Verso il 5 ottobre L’Udap: «Nessun motivo di ordine pubblico, la decisione è politica». I giudici dovranno decidere a breve se sospendere lo stop imposto dalla questura. Il sindacato dei carabinieri chiede gli idranti. Piantedosi nicchia.
Verso il 5 ottobre L’Udap: «Nessun motivo di ordine pubblico, la decisione è politica». I giudici dovranno decidere a breve se sospendere lo stop imposto dalla questura. Il sindacato dei carabinieri chiede gli idranti. Piantedosi nicchia.
Una manifestazione vietata, la volontà di scendere in piazza lo stesso, qualche frase evitabile di troppo e un ricorso al Tar che incombe. Questi sono gli ingredienti che accompagnano la vicenda della chiamata nazionale di quattro associazioni palestinesi per sabato a Roma: un appuntamento che quasi si sovrappone con l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e che anche per questo ha portato la questura di Roma a porre il suo divieto, ricevendo in cambio soltanto la pubblica conferma che l’appuntamento si terrà comunque. La posizione della questura, in ogni caso, risulta perfettamente sovrapponibile alla posizione portata dal Viminale al Comitato per l’ordine e la sicurezza di qualche giorno prima e che il ministro Matteo Piantedosi rivendica ancora: «Con preavvisi che in maniera più o meno allusiva tendevano a celebrare la data del 7 ottobre come l’esaltazione di un eccidio, francamente non era possibile lasciar fare». E questo è quanto: manifestazione vietata perché la piattaforma varata da Gpi (Giovani Palestinesi d’Italia), Api (Associazione dei Palestinesi in Italia), Udap ( Unione Democratica Arabo Palestinese) e Comunità Palestinese d’Italia era «più o meno allusiva».
LA PIETRA dello scandalo, in realtà, però non fa parte della convocazione della piazza. La frase – francamente inaccettabile – «il 7 ottobre 2023 è la data di una rivoluzione» si può leggere soltanto su un post pubblicato sui social dai Giovani palestinesi e non coinvolge gli altri organizzatori, peraltro numericamente ben più consistenti. Nelle tre pagine di documento con cui la questura capitolina ha disposto il suo veto, infatti, si parla quasi solo di questo e solo in una riga si accenna a non meglio precisate «potenziali problematiche di ordine pubblico». Così stamattina l’Udap presenterà al Tar del Lazio un ricorso per sospendere l’atto vergato dalla polizia. «È un divieto politico – si legge in un comunicato -. Dietro alla questione dell’ordine pubblico si cela invece la volontà politica di censurare la nostra mobilitazione in un clima di repressione politico mai visto prima». Al documento è stato allegato anche un elenco di cinquanta manifestazioni convocate dalle varie sigle palestinesi dall’inizio dell’anno durante le quali non ci sono stati disordini né incidenti particolarmente rilevanti. I giudici del tribunale amministrativo dovranno esprimersi subito – cioè nel giro di un paio di giorni al massimo – sulla richiesta di sospendere il divieto della questura, poi, nel caso, si arriverà anche a discutere del merito del caso entro un mese al massimo, quando ormai comunque la data fatale del 5 ottobre sarà alle spalle. Va detto, infine, che la questione si poteva risolvere molto prima: era il 3 settembre quando la questura ha ricevuto la comunicazione della manifestazione ma nessuno si è degnato di rispondere fino a martedì della settimana scorsa, quando è arrivato lo stop. C’è una questione puramente tattica alla base dello slittamento in avanti: è (cattiva) prassi di molte questure rifiutarsi di prendere in consegna le comunicazioni per guadagnare tempo e non dare risposta in attesa di una qualche manna dal cielo (o indicazione politica).
AL DI LÀ di questi particolari più o meno burocratici, il contorno della vicenda resta velenoso. Di certo l’attività social dei Giovani palestinesi ha surriscaldato gli animi più del dovuto e ha offerto un ottimo assist a tutti i loro detrattori, ma anche dall’altra parte non si fa nulla per cercare di stemperare il clima. Se dalla questura fanno sapere di aspettarsi in piazza trentamila persone da tutta l’Italia (non solo sigle palestinesi, ma anche tanti pacifisti che andranno senza dare grande peso a piattaforme e comunicati, oltre ai tanti che vorranno dare un segnale contro il ddl sicurezza), l’Unione sindacale italiana carabinieri ha fatto sapere di auspicare «la mano forte del governo» perché «non ceda alle stupide e puerili polemiche politiche, dando massima fiducia alle forze di polizia, anche attraverso dotazioni supplementari quali idranti, oltre ai già previsti equipaggiamenti». Una posizione forte che non lascia presagire niente di buono ma che Piantedosi non sembra intenzionato ad accogliere: «Ho letto che qualcuno in barba al divieto pensa di manifestare, vedremo. Ma esiste una posizione di principio e una operativa». Come dire: la contrarietà resta, ma poi in piazza si cercheranno lo stesso mediazioni con chi ci sarà.
A QUANTO SI APPRENDE, però, in questi giorni non ci sono stati contatti tra la questura e gli organizzatori, quindi il discorso resta avvolto nell’incertezza. Tutto è appeso al ricorso al Tar: una sospensione del divieto sarebbe un fatto di per sé clamoroso, ma potrebbe anche essere decisivo per abbassare una volta per tutte la tensione che si è venuta a creare.
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