María Oruña e i segreti inconfessabili del jet set
L'intervista Parla l'autrice di «Quel che la marea nasconde» (Ponte alle Grazie), un’indagine di Valentina Redondo. «Racconto di borghesia e classi sociali, femminismo e persino di ecologia. La vittima è una donna potente e mi sono chiesta in quanti la invidiassero fino a poterla uccidere»
La tenente della Guardia Civil Valentina Redondo deve vedersela con un delitto apparentemente senza soluzione: la presidente del più esclusivo tennis club di Santander è stata pugnalata nella cabina della goletta di proprietà del circolo: solo che la porta era chiusa dall’interno. Giocando con le citazioni di Agatha Christie e con i classici del poliziesco, María Oruña indaga sotto la superficie del jet set della città della Cantabria, un tempo residenza estiva della famiglia reale spagnola e da sempre tra le mete del turismo più elitario. Uno scenario, quello descritto in Quel che la marea nasconde (Ponte alle Grazie, pp. 458, euro 18) che offre alla tenente Redondo la possibilità di far emergere i molti segreti di un mondo nel quale la lotta per il potere non conosce confini. La strada che conduce alla verità non lascerà però indenne neppure la giovane protagonista, che deve fare i conti con una recente perdita e con i sensi di colpa che ancora la agitano al riguardo.
Quarto capitolo delle indagini di Valentina Redondo, ma il primo romanzo della serie di grande successo in Spagna ad essere pubblicato nel nostro Paese, Quel che la marea nasconde rivela le capacità di María Oruña, nata a Vigo nel 1976, che dopo una laurea in legge e dieci anni di lavoro in uno studio legale della città galiziana ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura. Le sue storie che intrecciano spesso i codici del poliziesco classico con uno spaccato sociale della Spagna odierna sono ambientate in gran parte in Cantabria, regione del Nord Ovest del Paese.
In questo romanzo il crimine riguarda «i quartieri alti», la stessa vittima è una ricca imprenditrice non certo troppo amata in città, anche se nei suoi confronti sembrano esistere anche dei pregiudizi di genere.
Nel romanzo si parla di borghesia e classi sociali, monarchia e repubblica, femminismo e persino di ecologia. Il fatto è che Judith Pombo, la prima vittima della storia, è una donna potente e odiata ed io, insieme ai lettori, mi sono interrogata sul fatto che ad attirare su di lei tanto risentimento potesse essere stato anche il fatto che in molti la invidiavano, vedevano in lei ciò che non avrebbero mai potuto essere.
«Quel che la marea nasconde» rende omaggio a Agatha Christie e agli «enigmi della camera chiusa», anche se lei spiega di prediligere Gaston Leroux… Qual è il suo rapporto con i classici del poliziesco?
In ognuno dei miei romanzi cerco di rendere omaggio a diversi stili narrativi e ai modelli del genere poliziesco. In questo caso, ho guardato agli autori dell’inizio del ’900. La mappa aerea della scena del crimine, il linguaggio talvolta pomposo e quelle citazioni di Christie all’inizio dei capitoli: tutto ruota intorno agli «enigmi della camera chiusa», anche se l’indagine ci porta nella Santander di oggi, in un contesto geografico e temporale del tutto diverso. Il tutto suono come una specie di provocazione che spero risulti stimolante.
Il suo nuovo romanzo, «El camino del fuego», appena uscito in Spagna, vede Valentina impegnata in un’indagine in Scozia sulle tracce di Lord Byron e delle altre grandi figure del romanticismo inglese: Scott, Austen, Shelley. Insegue una sorta di «chiave letteraria» al crimine?
Diciamo che cerco di dare a ogni storia un proprio stile. Nel terzo romanzo della serie di Valentina, ad esempio, si parla della possibile presenza di fantasmi e così ho adottato uno stile narrativo più gotico, ispirandomi a Rebecca di Daphne du Maurier. Mentre per l’ultimo romanzo ho guardato a Byron, ai classici scozzesi come anche al romanzo epistolare dell’epoca.
La protagonista dei suoi romanzi, Valentina Redondo, deve il suo nome alla passione che lei nutre per le opere della scrittrice di San Sebastián Dolores Redondo, nota soprattutto per la «Trilogia di Baztán», che mescola noir e soprannaturale, cosa ama di più in quelle storie?
Apprezzo molto lo stile di Dolores Redondo, anche se non ha nulla a che fare con il mio. Non inserirei mai elementi fantastici o soprannaturali nelle mie opere. Mi piace proporre casi apparentemente impossibili che possono però essere risolti grazie ad una buona indagine, ad una giusta applicazione della scienza e al buon senso. Detto questo, mi sono ispirata a Dolores Redondo quando ho pensato al personaggio di Valentina più sul piano personale che letterario. Una sera l’ho vista raccontare in televisione il suo percorso, da quando gestiva un ristorante alla pubblicazione del primo romanzo. Mi ha sorpreso che qualcuno senza contatti particolari o un curriculum letterario preciso potesse riuscire a pubblicare un romanzo e ottenere successo. Mi sono detta che allora avrei potuto provarci anch’io.
La Galizia si è trasformata nel nuovo laboratorio del poliziesco iberico sia per quanto riguarda i romanzi che le serie tv. Oltre a lei e al compianto Domingo Villar – intervistato su queste pagine nel 2020 -, scomparso a soli 51 anni lo scorso maggio, l’elenco è molto ampio. A cosa si deve questo fenomeno?
Ho patito molto la perdita di Villar che era un gentiluomo sia nel mondo delle lettere che sul piano personale. Nel nord della Spagna siamo abituati a un clima rigido e avverso. Ciò significa che gli autunni e gli inverni comportano molte ore di contemplazione e osservazione. Ho verificato che anche la musicalità dei testi galiziani ha dei tocchi particolari, forse perché siamo bilingui e gestiamo più registri. Fortunatamente, nessuno sa dove sia la magia, e qui sta la grazia della materia.
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