Sono le 18 in punto quando la Sea-Watch 3 attracca finalmente nel porto siciliano di Augusta. Da un lato il sole arancione che tramonta, dall’altro il profilo fumante dell’Etna in lontananza. L’ingresso è scortato da una motovedetta della guardia di finanza e una della guardia costiera. Quest’ultima ha scritto in testa: Sar (ricerca e soccorso).

A salutare calorosamente ci sono l’equipaggio della nave Aita Mari della Ong Salvamento Maritimo Humanitario, che sta trascorrendo l’isolamento sanitario in rada dopo l’ultima missione, e i migranti che al momento si trovano a bordo della Gnv Splendid, una delle navi quarantena. L’altra, la Gnv Rhapsody è ormeggiata accanto al posto lasciato libero per la Sea-Watch 3. Ospiterà adulti e famiglie con neonati e bambini piccoli dopo i risultati dei tamponi.

Cinque ragazzini del Mali che hanno tra gli undici e i quindici anni la guardano dal ponte più alto della nave umanitaria e chiedono: «Ci portano là?». Non ci andranno. Dopo la mobilitazione di associazioni e società civile in seguito alla morte di Abou Diakite e Abdallah Said per i minori non accompagnati la quarantena è stata spostata nei centri a terra. Sono più di 100 quelli soccorsi tra venerdì e domenica scorsa. Una trentina hanno meno di 15 anni.

La Sea-Watch 3 dopo l’attracco, foto di Selene Magnolia

Lo sbarco a quest’ora ormai prossimo è stato comunicato ai migranti della Sea-Watch 3 ieri mattina intorno alle 8. «Abbiamo una notizia da darvi, sediamoci», dicono dall’equipaggio. «Ma è buona?», chiede subito Youssouf, un ragazzo del Mali. Il boato scoppia sulla parola «Italy». La felicità è incontenibile. «Bouza, bouza», cantano la persone. Significa che ce l’hanno fatta, che sono riuscite ad attraversare il mare. Guardandoli viene da chiedersi cosa sarebbe successo se la Sea-Watch 3 non fosse stata nel Mediterraneo centrale, realizzando sei soccorsi tra venerdì e domenica.

Quando l’entusiasmo scende un po’, viene spiegata la necessità di fare la quarantena per evitare la diffusione del Covid-19 e come funzionano le procedure di sbarco. Tutti ascoltano con attenzione e tranquillità. Il gruppo che segue in francese rappresenta più dei due terzi dei migranti. L’inglese è soprattutto per i nigeriani, per l’arabo i sudanesi e un tunisino che viaggia da solo. «Io vorrei andare in Francia, non in Italia. Ho molti amici a Parigi. Vogliono aiutarmi a trovare lavoro. Posso chiedere di non lasciare le impronte?», dice un ragazzo nato in Nigeria. Ma dovrà farlo, anche se non vuole: c’è il regolamento di Dublino.

La distribuzione del tè, foto di Selene Magnolia

Per tutta la mattinata la crew di Sea-Watch si alterna ai fornelli preparando grandi quantità di cous cous. La distribuzione dei 363 piatti va avanti per tre ore, dalle 13 alle 16. Il meccanismo ormai è rodato e i migranti danno una mano: aiutano a portare il cibo, si dividono in fila, lavano i piatti a gruppetti. Le porzioni sono abbondanti e c’è aria di festa. Anche chi soffre il mal di mare prova a mangiare qualcosa.

Quando la nave è ormai accanto al molo i 22 membri dell’equipaggio, con mascherine, tute di biocontenimento bianche e caschetti, hanno diviso le persone soccorse tra minori, sul ponte in alto e quello di poppa, famiglie e uomini. I medici dell’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf) chiedono un report delle loro condizioni di salute e dicono che la nave sarà messa in quarantena. Viene calato il ponte e salgono a bordo per fare i tamponi insieme al personale medico della nave. I negativi scendono a gruppi di dieci. Si proverà a fare tutto in serata.

È il momento dei saluti. Dall’equipaggio si cercano le persone con cui durante la navigazione si è familiarizzato di più: «Bonne chance», «good luck», «buona fortuna». Ne avranno bisogno. Sono sopravvissute alla Libia e al mare ma anche in Europa dovranno continuare a lottare.