Una furia. Perché, spiega, «ho provato tanta rabbia» per quella «sentenza vergognosa e scandalosa». Livido in volto Matteo Salvini attacca a testa bassa chiunque si permetta di condividere la decisione, presa martedì sera dalla gip di Agrigento Alessandra Vella, di non convalidare l’arresto di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3. Una decisione che il ministro dell’Interno bolla come «una follia» prima di ripetere, nella solita diretta Facebook, l’invito che ormai da mesi rivolge ai quei giudici che si permettono di applicare le leggi contraddicendolo: «Togliti la toga e candidati con la sinistra per fare politica e cambiare le leggi che non ti piacciono», dice parlando alla gip agrigentina. Nel mirino del leghista finiscono anche non meglio identificati «professoroni», leader europei come Macron e Merkel e «i soliti soloni» italiani che avrebbero ottenuto «quello che volevano: liberare quella povera donna che ha solo provato ad ammazzare cinque militari italiani».

E per fortuna che solo qualche giorno fa, rispondendo a Bruxelles alla Merkel che gli chiedeva notizie della trentunenne capitana tedesca, Giuseppe Conte aveva detto di non poter intervenire in alcuno modo sulle decisioni dei magistrati. «Le ho spiegato che in Italia, come in Germania, l’esecutivo è distinto dal potere giudiziario», aveva poi raccontato ai giornalisti col tono di chi aveva appena dato una lezione alla cancelliera tedesca. Qualcosa, di quella lezione, deve però essere sfuggito al titolare del Viminale. Che su Facebook prima e in parlamento poi non fa che attaccare la giudice siciliana, tanto da spingere i consiglieri togati del Consiglio superiore della magistratura a chiedere l’apertura di una pratica a tutela della Vella e il ministro della Giustizia a intervenire: «Si può essere d’accordo o meno ma non si dovrebbe mai arrivare il singolo magistrato dicendogli di togliersi la toga e candidarsi», afferma Bonafede.

Troppo tardi, perché ormai Salvini – che non accetta la sconfitta subita nel braccio di ferro ingaggiato da mesi con la ong tedesca – non lo ferma più nessuno: «Quindi la vita di un finanziere vale meno della vita di un clandestino», dice facendo riferimento alla manovra compiuta da Carola Rackete quando ha deciso di forzare il blocco e che ha portato alla collisione con una motovedetta della Guardia di Finanza. «E’ una bella responsabilità quella che questo giudice si è preso». E qualche ora dopo, in visita all’Istituto per ispettori di polizia di Nettuno, aggiunge: «Mi chiedo cosa bisogna fare in Italia per finire in galera. Qui non si tratta di libertà di pensiero, indipendenza della magistratura e soccorso alle vite umane. Qui c’è qualcuno che in maniera criminale e deliberata ha messo a rischio al vita di persone che stavano facendo il loro lavoro». Un rischio che, a quanto pare, per Salvini si sarebbe potuto evitare: «Quegli immigrati sarebbero sbarcati pacificamente la mattina dopo se di notte no fosse stato commesso quello che è un vero e proprio atto di guerra». Una frase, quest’ultima, alla quale risponde uno dei difensori della Sea Watch, l’avvocato Alessandro Gamberini: «La vita delle persone non è un gioco a nascondino», dice il legale. «Se davvero il ministro aveva già deciso di farli sbarcare poteva comunicarlo e ci saremmo evitati questa situazione, tanto più che cinque Paesi si erano già offerti di accogliere i migranti».

E invece per diciassette giorni dal ministro sono arrivate solo frasi sul fatto che i porti sono chiusi, oppure assicurando che «in Italia non entra nessuno» e descrivendo la Sea Watch 3 come una «nave pirata». Più o meno i concetti ribaditi anche ieri alla Camera, dove Salvini è intervenuto per il question time e dove la seduta si è trasformata in bagarre con tanto di battute e risate. E’ successo quando il deputato di Sinistra italiana Nicola Fratoianni è intervenuto chiedendo «chi ha ordinato a quella motovedetta di frapporsi fisicamente tra la banchina e la Sea Watch mettendo così a rischio l’equipaggio». «Eccoli i veri colpevoli, i finanzieri», ha subito replicato Salvini tra gli applausi dei leghisti prima di lanciare baci a due mani verso i banchi dell’opposizione.