Seicentocinquantatré morti e 3.547 feriti da aprile a oggi. Basterebbe leggere queste cifre, diffuse qualche giorno fa dall’Organizzazione mondiale della sanità, per capire la tragedia che sta vivendo Tripoli. Al punto che ieri Fayez al Serraj ha voluto avvertire l’Italia e l’Europa: «Se continueranno i combattimenti ci saranno sicuramente conseguenze, a cominciare dall’immigrazione illegale», ha avvertito il premier libico parlando a tg di Sky. «Tutti i migranti vorranno cercare un posto sicuro e saliranno sui barconi della morte per cercare di raggiungere i porti più vicini in Europa».

Parole drammatiche che rendono bene il livello di violenza vissuto nella capitale del Paese nordafricano, dove i combattimenti che da mesi si susseguono nelle strade mietono vittime anche tra i civili. Nonostante questo, e nonostante lo stesso Serraj abbia ammesso la possibilità di fughe di massa, ieri le autorità libiche hanno indicato alla Sea Watch 3 proprio Tripoli come porto sicuro nel quale sbarcare i 53 migranti salvati mercoledì in acque internazionali. Una decisione inedita, mai presa prima e che, se non proprio una trappola per mettere in difficoltà l’ong, appare quanto meno una provocazione viste le condizioni di pericolo esistenti nel Paese.
Scontata, quindi, la risposta della nave umanitaria: «Non sbarcheremo mai i naufraghi in Libia», ha subito comunicato l’ong. «Tripoli non è un porto sicuro e riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare è un crimine».

Dopo aver zigzagato in mezzo al mare per due giorni, ieri la Sea Watch 3 ha diretto la prua verso nord avvicinandosi a Lampedusa. Una scelta dettata dalle previsioni meteo, che per oggi danno pioggia e vento, che ha avuto l’effetto di scatenare Matteo Salvini. Il ministro firma l’ennesima direttiva per impedire, in base a quanto previsto dal nuovo decreto sicurezza, l’ingresso della nave nelle acque territoriali italiane che il Viminale considera «non inoffensivo» perché finalizzato al «preordinato trasferimento in Italia i migranti in condizioni di irregolarità». «Le autorità libiche hanno assegnato ufficialmente Tripoli come porto più sicuro per lo sbarco- dice il ministro leghista -. Se la nave illegale disobbedirà, mettendo a rischia la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente».

Lo scontro tra il ministro leghista e una ong non ha mai raggiunto livelli così alti e rischia di mettere all’angolo la nave della ong tedesca. «Sea Watch non vuole portare i migranti i Libia? Allora spieghi perché ha chiesto a Tripoli un porto sicuro», chiede Salvini. Dopo il salvataggio l’equipaggio della Sea Watch 3 ha chiesto indicazioni sul da farsi ai centri di coordinamento dei soccorsi di Italia, Libia, Malta, e Olanda, quest’ultimo in quanto Paese di bandiera della nave. Rivolgersi a Tripoli è un passaggio obbligatorio visto che il governo italiano riconosce l’area Sar del paese nordafricano e non farlo avrebbe potuto significare prestare il fianco a eventuali contestazioni. Ma che la Libia sia tutto tranne che un Paese sicuro è una realtà riconosciuta a livello internazionale, dall’Unione europea alle Nazioni unite che hanno più volte denunciato le violenze alle quali vengono sottoposti i migranti. Tutte cose che al governo gialloverde – che dopo le motovedette fornite in passato alla Guardia costiera libica ora si appresta a rifornire Tripoli con altri – non sembrano interessare. «E’ vergognoso che l’Italia promuova queste atrocità e che i governi Ue ne siano complici», ha commentato ieri Sea Watch. Che intanto, attraverso gli avvocati Alessandro Gamberini e Leonardo Marino ha annunciato di voler querelare Salvini per aver «rilasciato, ancora una volta, innumerevoli dichiarazioni diffamatorie a mezzo stampa insultando la ong e l’operato della sua nave». Scontata, anche in questo caso, la reazione del ministro: «Gli abusivi della ong mi querelano? Uuuh, che paura», ha ironizzato Salvini.