«La nostalgia dello Stato nazione è inutile, anzi pericolosa: la dimensione globale nella quale il capitalismo si è organizzato costituisce un quadro fisso per il movimento di tutte le istituzioni, qualunque esse siano – statali o politiche, industriali o finanziarie». Scriveva così, il 20 ottobre 2014, Toni Negri sul sito di Euronomade, riflettendo sui sintomi nazionalistici di reflusso al capitalismo globale, e alle sue declinazioni dialettiche e narrative.

NARRAZIONI che ancora, davanti all’escalation dei capitali finanziari globali, ritroviamo nelle contese delle regolamentazioni internazionali. La notte tra l’8 e il 9 dicembre, dopo 36 ore di dibattito, i membri del Parlamento europeo hanno siglato l’accordo per la prima normativa internazionale in ambito di intelligenza artificiale, l’AI Act.

Il percorso di approvazione sembrava nelle settimane precedenti aver subito una battuta d’arresto a causa del contrasto del triangolo Italia-Germania-Francia, che su pressioni lobbistiche di startup emergenti nel settore vedeva nelle normative un limite all’ascesa delle proprie aziende nazionali.

In particolare, sotto i riflettori europei e non solo, vi sarebbe Mistral, la startup francese che dopo il primo round da record ne ha raccolto un secondo da 385 milioni di euro in sette mesi, arrivando ad una valutazione di 2 miliardi attestandosi quindi fra le maggiori del mercato globale dell’Ia.

Con sede a Parigi, e fondata da ex ricercatori di Meta e Google, nelle ultime settimane ha lanciato MIxtral 8x7B, un modello che si presenta come la risposta europea ai noti servizi ChatGpt di OpenAI e Bard di Google.

Il modello francese si caratterizza per le alte prestazioni paragonabili a quelle dei competitor statunitensi pur richiedendo molte meno prestazioni di macchina, permettendo composizione ed elaborazione del testo in varie lingue, incluso quello della programmazione.

Cédric O, segretario di stato della Francia per l’economia digitale, ottobre 2022
«Il problema principale per l’Europa non è la regolamentazione, ma che nel mondo digitale sono i leader a stabilire gli standard, e l’Europa non ha leader»

IL GOVERNO francese ha fortemente sostenuto e finanziato la start-up, rilevando nella regolamentazione europea un limite alla sua crescita nel mercato del settore. A ottobre scorso Cédric O, segretario di stato per l’economia digitale, constatava che «a seconda della forma finale dell’AI Act, questo potrebbe uccidere Mistral o farlo crescere». E ancora: «Il problema principale per l’Europa non è la regolamentazione, ma che nel mondo digitale sono i leader a stabilire gli standard, e l’Europa non ha leader», ha detto riferendosi alle più grandi aziende tecnologiche del mondo, statunitensi e cinesi. «L’Europa dovrebbe concentrarsi su una cosa: come far emergere i propri campioni».

La redazione consiglia:
È europea la prima legge sull’intelligenza artificiale

Le sue parole sottolineano la questione della cosiddetta «Ai sovereignty», la sovranità dell’intelligenza artificiale, che come qualche anno addietro fu per la gestione dei dati, ora è il nuovo terreno di confronto e braccio di ferro per l’affermazione dei rapporti reciproci di forza nello spazio geopolitico.

In un recente tweet del 17 novembre il Ceo di Mistral, Arthur Mensch, accusava la regolamentazione europea di porre un limite all’ascesa di nuovi attori: «L’intenzione di introdurre una regolamentazione a due livelli è virtuosa. Il suo effetto è catastrofico. Consolida di fatto l’esistenza di due categorie di aziende: quelle con diritto di scala, ovvero quelle dominanti che possono permettersi di far fronte a pesanti requisiti di conformità, e quelle che non possono perché non dispongono di un esercito di avvocati, ovvero quelle dei nuovi arrivati. Ciò segnala a tutti che solo gli attori esistenti di spicco possono fornire soluzioni all’avanguardia».

Il terreno del dibattito in corso e gli interessi in gioco ricordano lo scenario del 2018 durante l’entrata in vigore del Gdpr (il regolamento sul trattamento dei dati) dopo il caso di Cambridge Analytica. Tuttavia è da considerare che all’epoca la questione riguardava la proprietà di dati degli utenti, quindi un fenomeno abbastanza “distribuito” seppur su scale diverse, con servizi e piattaforme in sedi sia statunitensi che europee.

IN QUESTO CASO, la regolamentazione va a colpire un settore fortemente verticalizzato, dove pochi – attualmente tre – giganti detengono gli unici modelli con potenza tale da essere soggetti alle limitazioni in questione. Questo fa anche sì che mentre da un lato l’Unione europea spinge verso una maggiore imposizione in termini di competizione su un monopolio che per ora è solo americano, dall’altro questo viene visto come un limite alla crescita da parte di stati che scommettono su start-up con l’intenzione di scalare quella cima.

A riecheggiare nelle parole sia di O che di Mensch è quella ideologia californiana che esalta la deregolamentazione per favorire il libero mercato, una visione che come introduceva nel dibattito italiano il collettivo Ippolita già nel 2012 afferisce alla corrente anarcoliberista caratteristica della Silicon Valley.

Inoltre, come delineava quest’estate Morozov in un suo articolo sul New York Times, «la vera minaccia dell’IA» si nasconde nell’ideologia del «lungoterminismo» e dell’«A.G.I.-ismo» (laddove Agi sta per artificial general intelligence): biforcazioni del transumanesimo capitalista, narrazioni tecno-entusiaste che vedono nella creazione di tecnologie intelligenti una missione da compiere per il bene dell’umanità, e per le quali ripercussioni come violazioni dei diritti umani e impatto ambientale sono solo incidenti di percorso.

LA COMPETIZIONE geopolitica per accaparrarsi la sovranità digitale, quindi l’oscillazione tra interessi nazionalisti e continentali, insieme alle influenze ideologiche dominanti nel settore hi-tech sono elementi che comporteranno, nei prossimi tempi, lo sviluppo delle nuove tecnologie e il loro impatto sulla società.