Non è una novità che il generale Fabio Mini utilizzi un linguaggio così schietto da essere urticante. Con verità scomode che lo diventano due volte se a dirle è un soldato che ha il dono di rifiutare inutili convenevoli e giri di parole. Mini, come ogni militare, la guerra la conosce e come molti suoi colleghi proprio per questo preferirebbe che si cercasse di evitarla col suo carico di morte e distruzione che alimenta le tasche di qualche speculatore e rallenta le speranze di un equilibrio mondiale pacifico di cui avremmo molto bisogno. La prima verità sta nel titolo stesso del suo ultimo saggio L’Europa in guerra (PaperFirst, pp. 208, euro 16) il cui sottotitolo potrebbe essere «L’Italia in guerra». Mini dedica infatti buona parte del libro al Belpaese e soprattutto all’assenza di una strategia di difesa coerente che invece sembra limitarsi a riempire gli arsenali delle armi di cui si è appena liberata per mandarle in Ucraina.

UN’ASSENZA DI STRATEGIA che brilla per buona compagnia con le altre potenze, grandi e piccole, che costituiscono la Ue e che non sembrano vedere, dice Mini, che l’Ucraina è «uno dei molti passi statunitensi verso la sistemazione definitiva di una vecchia faccenda: il depotenziamento militare della Russia e quello economico dell’Europa» e «di una relativamente nuova: la Cina». Eppure bisognava pure accorgersene se «l’invasione russa è stata preceduta da 30 anni di provocazioni Nato con l’espansione ma soprattutto da quelle dei Paesi membri fortemente antirussi di cui l’Alleanza si è fatta paladina spostando truppe e sistemi missilistici a ridosso della Russia». E se qualsiasi guerra «prima o poi si rivela per ciò che è sempre stata: uno strumento al servizio di interessi quasi sempre inconfessabili e quasi mai collettivi», la Nato, che pure è l’intoccabile totem sulla bocca di tutti, mostra anche una debolezza strutturale.

Non solo «ha intrapreso operazioni militari sostituendosi surrettiziamente alle competenze dell’Onu come in Afghanistan» e «ha fallito nella creazione di strutture che coinvolgessero nella sicurezza altri Paesi non membri» ma non è riuscita nemmeno a «costruire un apparato militare comune» sebbene conti oggi «30 membri, 29 eserciti e 30 bilanci cui attingere». Mini non è visceralmente un nati-Nato ma pensa che «andava ripensata e ristrutturata molto tempo fa». Oggi, scrive, «occorrerebbe avviare la realizzazione di una struttura di sicurezza europea indipendente che collabori in forma bilaterale con gli Usa e chiunque altro condivida i progetti e le procedure comuni».

PARTE DEL LIBRO è dedicata gli armamenti, tattici e strategici, nucleari e non che, alla fin fine, sono un po’ la stessa cosa se «tra le armi convenzionali figurano quelle laser, al plasma, ordigni termobarici» e bombe come la moab gbu-43«che pesa circa 10 tonnellate di cui quasi 9 di esplosivo plastico». Altra parte del saggio è dedicata all’esercito italiano da cui Mini proviene per cui sarebbe difficile definire il generale un «pacifista» tout court: difficile esserlo per un uomo che ha scelto di fare dell’arte della guerra il suo mestiere.

Ma proprio perché Mini la conosce quell’arte antica – e se si preoccupa dello stato delle Forze armate italiane è perché le pensa in termini di difesa – il pragmatico generale pensa anche alle soluzioni per una guerra che «non è scoppiata all’improvviso» e «non era inevitabile». «Fino a tre giorni prima dell’invasione l’Ucraina stessa poteva evitare la guerra con i negoziati: assicurando alle province ribelli del Donbass quella sostanziale autonomia promessa da Kiev nel 2015, trattando sulla Crimea, entrando a far parte dell’Ue, dichiarandosi militarmente neutrale». Uscirne come? «Se nei meandri diplomatici si volesse veramente porre fine al calvario del popolo ucraino e le proposte fossero considerate interlocutorie si creerebbe lo spazio per l’avvio palese od occulto di un negoziato e di un ruolo internazionale».

AL DI LÀ DELL’ASPETTO tecnico (missioni di garanzia/verifica o di interposizione) Mini nota che «la diplomazia ha completamente abdicato al proprio ruolo e lo stesso Onu ha fallito (…) di fronte al rifiuto occidentale di esaminare, discutere o trattare i termini di un nuovo accordo sulla sicurezza in Europa proposto dalla Russia (…) si è scelta la strada della chiusura al dialogo (…) le richieste russe erano pretestuose, ma avevano una propria logica sulla quale si sarebbe dovuto discutere». «La via del negoziato non è affatto impossibile – conclude Mini – purché la si voglia percorrere».