Se crolla il baluardo tedesco al sovranismo
Ue La tensione costante tra Berlino e le posizioni sovraniste ha finora ostacolato la deriva dell’Unione verso una rissosa congregazione di nazioni gelose delle proprie prerogative e accomunate solo dalle necessità ineludibili della competizione economica globale. Questa tensione è ormai minata da ciò che sta accadendo nella stessa Germania
Ue La tensione costante tra Berlino e le posizioni sovraniste ha finora ostacolato la deriva dell’Unione verso una rissosa congregazione di nazioni gelose delle proprie prerogative e accomunate solo dalle necessità ineludibili della competizione economica globale. Questa tensione è ormai minata da ciò che sta accadendo nella stessa Germania
Il più grande pericolo che la democrazia europea possa correre oggi è un radicale spostamento a destra dell’asse politico tedesco. Per lungo tempo la relativa tenuta dei principi e dei connotati democratici dell’Unione è dipesa in buona misura da quell’argine che i grandi partiti popolari tedeschi hanno sempre opposto alla crescita politica di formazioni di estrema destra xenofobe e nazionaliste. La riunificazione del paese con Kohl, e poi con il lungo governo di Angela Merkel, ha rafforzato questo imperativo ribadendo costantemente la particolare responsabilità della Germania nei confronti dei suoi partner europei e mettendo rigorosamente al bando qualsiasi forma di revanscismo. Questo non ha naturalmente impedito a Berlino di esercitare ampiamente l’influenza, anche politica, della sua potenza economica e finanziaria, di determinare parametri, regole e sanzioni dell’architettura economica e istituzionale europea.
La storia del “gigante economico e nano politico”, come si soleva definire la Repubblica federale nel dopo guerra, è sempre stata solo una favoletta rassicurante, per diventare infine un vero e proprio non senso dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Ora quell’argine comincia a sbriciolarsi, l’esclusione dell’estrema destra da ogni gioco politico diventerà sempre più difficile, dapprima per far tornare questo o quel conto elettorale nei comuni e nelle regioni, poi per sdoganarne e magari assimilarne alcuni contenuti.
I trionfali risultati elettorali conseguiti da Afd in Assia e in Baviera, due regioni di grandissimo peso economico e politico, sono il segno di quanto lo slittamento a destra dell’opinione pubblica tedesca sia andato avanti e di quanto gli anticorpi sviluppati dopo la guerra stiano invece venendo meno. Con l’uscita di scena di Angela Merkel, il declino della socialdemocrazia e la crescita dell’astensione si era parlato di una crisi dei grandi partiti popolari. Ma oggi questa crisi sembra riguardare essenzialmente la socialdemocrazia e, in misura crescente, i Verdi che nel club dei partiti popolari erano entrati per ultimi. Ovverosia il governo a tre con i liberali della Fdp, non risparmiati dalla solenne batosta nelle elezioni di domenica.
Non è servita a contenere gli avversari della destra la rincorsa dei partiti di governo sulla spesa per il riarmo, sulle politiche migratorie e la restrizione del diritto di asilo, né la frenata sulla riconversione ecologica, il tutto in un clima rissoso e incerto. I Verdi di governo si sono persi una bella fetta di verdi di movimento. L’astensione continua a manifestare un diffuso disincanto. L’agenda è stata dettata dalle ossessioni securitarie della destra. E seguirla non ha giovato a chi avrebbe dovuto contrastarla.
Ma, soprattutto, qualcosa di inquietante sta accadendo nella società tedesca: si diffonde la sensazione di non essere più in debito ma in credito con la storia e che l’apologia della nazione, venata qua e là di pulsioni
razziali, non sia più qualcosa di impronunciabile. Una sensazione che entra ormai di soppiatto nei calcoli della politica di vertice.
Per l’Europa, nello stato in cui oggi si trova, un marcato spostamento a destra del governo di Berlino rappresenterebbe una catastrofe definitiva. Quello che doveva essere un fattore di equilibrio, di decenza umanitaria, di freno agli appetiti nazionalisti e alle chiusure identitarie, rischia di perdere l’autorità politica per esercitare questo ruolo. La Germania si avvia sulla strada del cattivo esempio.
La tensione costante tra Berlino e le posizioni sovraniste ha finora ostacolato la deriva dell’Unione verso una rissosa congregazione di nazioni gelose delle proprie prerogative e accomunate solo dalle necessità ineludibili della competizione economica globale. Questa tensione è ormai minata da ciò che sta accadendo nella stessa Germania. Il continente europeo è quasi interamente governato dalle destre, con non poche componenti radicali, o da forze centriste che ne assumono i contenuti pur di non farsi sopravanzare. Con l’eccezione, del tutto incerta, della penisola iberica, che avendo sofferto dittature fasciste fino metà degli anni Settanta, ancora ne conserva la memoria e gli anticorpi.
Da questo dilagare delle destre nel Vecchio continente un governo di moderata sinistra a Berlino avrebbe dovuto distinguersi nella maniera più netta, indicare strade diverse, non rintanarsi all’ombra della Nato, difendere la cultura europeista invece di mostrarsi subito incline a compromessi destinati a stravolgerla. Poco ha fatto finora in questo senso. Vediamo come leggerà la disfatta subita a Monaco e Francoforte.
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