L’elaborazione riguardo la violenza maschile contro le donne è consolidata da diversi decenni, non solo grazie al femminismo che in tutte le parti del mondo continua a orientare le molte strade con cui se ne attraversa l’esperienza ma anche perché i saperi critici intorno al tema non si fermano a una giornata internazionale, non sono d’occasione. In direzione contraria riguardo i toni emergenziali, che la violenza sia sistemica occorre pur sempre ricordarlo anche a chi riflette ogni volta come se si dovesse sempre partire da zero mostrando invece intersezioni possibili, multidisciplinari e provviste di altrettanti linguaggi.

Una delle uscite editoriali più originali degli ultimi mesi, nel senso della contaminazione tra esperienza e analisi partecipata, è La trama alternativa, un volume di Giusi Palomba (Minimum fax, pp. 243, euro 18) che si interroga su «sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere». Senza voler rappresentare un manuale di istruzioni, descrive un caso preciso ovvero quanto le è accaduto quando, arrivata a Barcellona per ragioni economiche, incontra Bernat, un attivista e agitatore culturale che presto diventa suo amico e che a un certo punto viene accusato di stupro. Il racconto è quello di un complesso percorso collettivo, perché la violenza non è mai un fatto privato, in cui la scelta non è penale.

NEL GIORNO IN CUI le piazze del mondo verranno attraversate dai nostri corpi, è ancora una volta dalle diverse pratiche, dai centri antiviolenza proseguendo poi tra le scritture, in particolare di donne, che si sfondano non solo generi letterari ma si consegnano molti spunti di lettura, cominciando da una considerazione sempre utile: «Quando parliamo di violenza contro le donne il concetto è talmente astratto, talmente ampio, che non ci rendiamo conto dei modi specifici e dettagliati con cui impatta sulle nostre vite e quanti anni, quanto tempo ci vuole per risorgere dalle ceneri». È il punto centrale che Eve Ensler inserisce nella sua «Alchimia delle scuse», un sermone scritto per la Middle Church di New York su invito della reverenda Jacqueline Lewis e che si può leggere per intero nel volume Io sono un’esplosione. Una vita di lotta e speranza, appena edito dal Saggiatore nella traduzione di Sara Reggiani (pp. 295, euro 22).

Nota per i suoi Monologhi della vagina e per il suo attivismo, Ensler decide di abbandonare il nome del padre violento e attribuirsene uno nuovo: V, una sola lettera che è rinascita sua personale ma anche nome plurale di un popolo che, spiega l’autrice, si sapeva prendere cura l’uno dell’altra e per cui «il “noi” era dove dimorava il piacere». Oggi settantenne, la scrittrice e drammaturga statunitense, compone un volume che «si addensa mentre scorre», composto da prose, poesie, invettive, stralci di diario e riflessioni rendendo questo esperimento sia l’esito di una deflagrazione che la possibilità di far saltare ancora ogni forma di ingiustizia. Non è solo quella maschile contro le donne che le interessa perché molte sono le soggettività e i nodi storico-politici che ha attraversato: dagli anni Novanta dell’Aids a quelli in un campo profughi vicino Zagabria fino ad arrivare in Pakistan per poi trascorrere otto anni nella Repubblica democratica del Congo oppure occuparsi delle «schiave sessuali» dell’Isis fino all’ascesa di Donald Trump.

FORME DEL DOLORE assunte dalla ingiustizia che non ha la stessa temperatura in ogni angolo della terra, quando si discute di violenza maschile contro le donne che, lo si dirà per inciso, non necessariamente ha come esito la morte, molte sono le storie e le distinzioni in capo alle configurazioni. Da quella originaria che è lo stupro a quella reiterata dell’abuso, come quello che la stessa Eve Ensler ha subito dal padre fin da bambina. È un partire da sé diverso, quando è della propria carne che si sta parlando.
Seguire le fasi di una liberazione significa allora rendere condivisa la mappa di un patriarcato predatorio a diverse latitudini e in differenti contesti materiali, come fa l’antropologa argentina Rita Laura Segato che nel suo La guerra contro le donne (Tamu, pp. 316, euro 18, traduzione di Maria Biagiotti e Roberta Granelli e una puntualissima prefazione di Susanna Mantioni) offre le sue formulazioni su genere e violenza e specifica che l’espressione «violenza sessuale» può confondere giacché non è di ordine sessuale che si sta parlando ma del piano del potere. Rammenta poi il «mandato di maschilità» e la dimensione «arcaica» del patriarcato come struttura politica e cellula di violenza espropriatrice. Se adesso è il momento della politica delle donne, quotidiana e comunitaria, lo si deve a una coscienza che intreccia corpi e ricerche, anche qui «a partire da sé», dall’attenzione verso Ciudad Juárez fino al penitenziario di Brasilia e al domandarsi qual è la lingua del femminicidio. Che significante rappresenta.

SE LO DOMANDA ANCHE Joanna Bourke nel volume Vergogna. Considerazioni globali sulla violenza sessuale (Carocci, pp. 319, euro 24, traduzione di Maurizio Ginocchi) che, oltre a una notevole bibliografia sull’argomento, indaga i vari contesti culturali dando a ciascuno di essi una profondità temporale e spaziale da un punto di avvistamento storico (insegna a Londra in due College, al Birkbeck e al Gresham) su ciò che sono i vari volti dell’aggressione, dagli stupri correttivi a quelli nei conflitti bellici fino ad arrivare al trauma e alle cosiddette «sindromi culturali» con un’enfasi per quanto concerne le specificità locali nell’ambito degli schemi globali, segnata come è stata la sua esistenza da un’infanzia trascorsa tra Nuova Zelanda, Zambia, Isole Salomone e Haiti (la più importante, scrive, in termini di orientamento politico). L’ispirazione le viene dalle femministe che combattono la violenza sessuale in contesti in cui le disuguaglianze e le oppressioni sono particolarmente evidenti; sono le loro «conoscenze situate» – per dirla con Donna Haraway – a sollecitare ulteriori modi di pensare all’attivismo contro lo stupro.

Ed è qui che interviene Dolores Mosquera con il suo Libera. Comprendere e trattare gli effetti della violenza sulle donne (Raffaello Cortina editore, pp. 257, euro 22, traduzione di Emilio Vercillo). Psicologa e psicoterapeuta che dirige l’Instituto Investigation y Tratamiento del Trauma y los Trastornos de la Personalidad a La Coruña, descrive e racconta il suo lavoro fornendo con precisione casi e anche con ciò che si fa con chi resta, dalle madri ai più ampi contesti famigliari, quindi con il lutto per esempio con l’esposizione di bambini e bambine alla violenza.

SONO VARIE LE EPOCHE del rancore in cui molte si trovano a domandarsi infine: «Cosa c’è dei nostri corpi che vi spaventa così tanto, che vi rende così insicuri, così crudeli e duri? È la loro individuale autosufficienza o la loro mera esistenza? È la loro capacità di provare un piacere sconfinato – orgasmi capaci di moltiplicarsi. È la nostra pelle? È il nostro desiderio?». Conclude Ensler-V che «è la nostra forza» e che «questo è il nostro mondo ora. E questi sono i nostri corpi». Adeguatevi, si potrebbe aggiungere. Perché da qui non intendiamo arretrare, neppure di un millimetro.