Sono finite con una massiccia operazione di polizia in stile militare le 24 ore di violenza e repressione che hanno segnato la fine dell’occupazione di Ucla. Poco prima dell’alba è scattata l’operazione di sgombero: centinai di agenti del Lapd, dello Sheriff’s department e della polizia stradale che avevano preso posizione sul campus si sono mossi contro gli studenti asserragliati nella tendopoli pro palestinese e altre centinaia di persone che avevano risposto all’appello lanciato dai manifestanti sui social per accorrere a dare man forte.

L’OPERAZIONE è cominciata con lanci di razzi di segnalazione che hanno illuminato a giorno lo spiazzo coperto di tende davanti a Royce Hall e le linee di agenti in assetto antisommossa sono avanzate contro i ragazzi lanciando granate di stordimento. Nelle colluttazioni vi sarebbero stati numerosi contusi. Alle prima luci dell’alba erano ancora visibili dozzine di studenti con le mani fascettate dietro la schiena, in procinto di essere caricati sui pullman che li avrebbero portati verso le carceri cittadine. I fermi si aggiungono ai quasi duemila arresti di studenti in lotta ormai effettuati in tutto il paese.

La redazione consiglia:
Il liberalismo anti-sommossa, dagli Usa alla Ue

Nei campus l’intensità e la violenza del conflitto di Gaza sembra aver contagiato e definitivamente compenetrato il corpo politico del paese dove vivono più ebrei di quanti ve ne siano in Israele. Ucla in particolare è sembrata restituire un’allegoria di Gaza e dei territori quando, 24 ore prima dello sgombero, l’accampamento è stato oggetto di un violento attacco da parte di squadre filo israeliane che nella notte di mercoledì hanno assalito il campo con lancio di petardi e fuochi d’artificio contro i ragazzi e ondate di picchiatori che si sono lanciati contro le barriere cercando di sfondare il perimetro difeso dagli studenti. Numerosi studenti sono stati colpiti da mazze e spranghe di ferro, presi a calci e pugni e spediti in ospedale. L’attacco è proseguito per oltre quattro ore nella totale senza delle forze dell’ordine, malgrado le numerose chiamate al 112 da parte degli stessi studenti.

«È UN’ALLEGORIA di quello che succede in Palestina», ci ha detto l’indomani Tai Min, ventenne studentessa di sociologia, mentre l’accampamento veniva rifortificato. «Come i Palestinesi siamo stati letteralmente bombardati dall’esterno per poi essere accusati di essere terroristi ed antisemiti». Ed il paradigma dell’antisemitismo continua a prevalere su molta stampa mainstream e nelle dichiarazioni di politici, a cui si è associato ieri Biden, che lo ha definito inaccettabile al pari delle aggressioni a studenti ebrei.
L’analisi è però surrealisticamente dissociata dagli effettivi connotati di un movimento pacifista che è quasi maniacale nell’ossessione ecumenica. Le proteste sono assembramenti eterogenei di razze ed etnie. In ogni caso è forte la presenza di voci pacifiste ebraiche come quelle di Jewish Voice for Peace e If Not Now. Nella settimana di occupazione di Ucla, coincisa con la Pasqua ebraica si sono tenuti «seder di liberazione» a cui hanno partecipato giovani ebrei e palestinesi. Forse proprio questo viene percepito come minaccia alla prevalente narrazione di conflitto e guerra necessaria.

«IL NOSTRO MOVIMENTO non ha nulla a che fare con le identità religiose, la nostra critica è anticoloniale, per la liberazione di un popolo oppresso da 75 anni», aggiunge Tai quando glielo chiedo. «Si tratta di una tattica collaudata di distrazione, in questo caso fondata sulla falsa accusa che avremmo impedito l’accesso alle lezioni a studenti ebrei». Per risponderne il rettore di Ucla è ora stato convocato dalla commissione del Congresso per l’antisemitismo che da mesi inquisisce amministratori adducendo «l’impennata di atti antisemiti» nel paese. La statistica dipende però, a ben vedere, dall’allargamento della definizione a critiche dell’operato israeliano e semplici espressioni come «Palestina libera».

È da leggersi in quest’ottica anche il disegno di legge varato dalla Camera che rende illegale l’antisemitismo rafforzandone la definizione. Per gli Stati uniti, con la loro decennale giurisprudenza costituzionale sulla garanzia della libertà di espressione, si tratta di uno sviluppo epocale che da la temperatura di un estremismo istituzionale, fomentato anche da potenti lobby sioniste. «È una narrazione utilizzata per isolarci», mi spiega Samuel Hamed, 24 anni, anche lui ha passato la settimana nella tendopoli di Ucla. «Noi però siamo ben coscienti della solidarietà che vediamo oggi nelle università di tutto il paese. Il nostro movimento è enorme e non smetterà di chiedere una denuncia chiara del genocidio». «L’assurdo è che si possa tollerare come normale l’uccisione di quasi 40.000 persone di cui metà bambini», aggiunge uno studente vicino.

LA QUESTIONE morale imprescindibile posta dagli studenti come non avveniva dagli anni sessanta sembra aver provocato una dissonanza cognitiva in un paese già convulso dalla distorsione demagogia della politica. In questo senso gli studenti sembrano muoversi in un universo parallelo rispetto alla politica in cui vige la strumentalizzazione e la normalizzazione della violenza immane. Contro di loro c’è il governo (alla domanda se le proteste influissero sulle sue politiche, ieri Biden ha risposto con un laconico «No»), i due partiti, le istituzioni. Eppure i sondaggi continuano a rivelare la novità storica di una maggioranza di cittadini che per la prima volta criticano l’operato di Israele.