Politica

Ape e esodati, tra Boeri e il governo è alta pensione

Ape e esodati, tra Boeri e il governo è alta pensioneTito Boeri dell'Inps e il ministro Poletti – LaPresse

Manovra economica Il presidente dell'Istituto di previdenza rivendica la "sua" riforma delle pensioni e accusa l'esecutivo di affossare le casse dell'Inps. Boeri attacca anche sugli interventi di salvaguardia: "Ora c'è l'ottavo, e ho già i tam tam del nono".

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 29 ottobre 2016

Se i numeri ufficiali della manovra economica ancora devono arrivare in Parlamento, non mancano comunque le baruffe. Protagonista ancora una volta il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che prima si fa intervistare dal Corriere della Sera evidenziando che “con gli interventi sulla quattordicesima, sui lavoratori precoci e la sperimentazione sull’Ape social, il debito pensionistico potrebbe aumentare di circa 20 miliardi”. A ruota, a un workshop sul welfare organizzato a Torino, va a toccare il delicatissimo tasto degli interventi di salvaguardia per gli esodati: “Ci avevano detto che il settimo sarebbe stato l’ultimo, invece c’è stato l’ottavo e ho già il tam tam del nono”.

Non nuovo a punzecchiature sulle ipotesi della manovra, come ad esempio la polemica con il ministro Padoan sulle poche misure a sostegno delle fasce giovanili, questa volta Boeri gioca a fare il primo della classe, sostenendo che la sua riforma delle pensioni sarebbe costata meno di quella dell’esecutivo: “Le proposte dell’Inps riducevano il debito pensionistico di circa il 4% del pil, ed era anche prevista una riduzione parziale di certe pensioni attuali: i tagli erano previsti solo a contare dai 5.000 euro lordi al mese verso l’alto, e solo sulla differenza fra quanto giustificato dai contributi versati e quanto le persone ricevono. In rari casi ci sarebbe stata una riduzione della pensione appena superiore al 15%. Non drammatico, dal punto di vista sociale”.
Al contrario, secondo Boeri, “ciò che oggi è scritto nella legge di bilancio, e cioè gli interventi sulla quattordicesima, sui lavoratori precoci e la sperimentazione sull’Ape social, fa aumentare il debito pensionistico di circa 20 miliardi. Poi ci sono i costi legati all’estensione della fascia di reddito non tassata per i pensionati, più i crediti d’imposta per chi chiede l’Ape di mercato. E varie altre questioni aperte, che possono generare ulteriori spese”. Di più: “Non è detto che dopo il 2018 sarà facile interrompere l’Ape social. E se questo strumento venisse rinnovato anche solo nella forma attuale e reso strutturale, calcoliamo che ci sarebbero altri 24 miliardi di debito pensionistico. Dunque in totale 44 miliardi in più”.

Numeri del genere, fatti da chi come Boeri dice di apprezzare i risultati del jobs act, allarmano anche gli alleati della ditta Renzi&Padoan: “Il governo ha il dovere di una risposta documentata – fa sapere l’alfaniano Maurizio Sacconi – la Commissione Ue potrebbe esprimere preoccupazioni proprio perché la fonte di questi rilievi è istituzionale. Di qui l’esigenza di calcoli altrettanto istituzionali e più convincenti”.

Nell’attesa della “risposta documentata” sui rilievi dell’Inps, anche l’annosa questione degli esodati diventa materia di polemica. “Mi sembra che gli impegni del governo sulle salvaguardie non siano tanto credibili – annota Boeri a Torino – speriamo che nella seconda fase del confronto con i sindacati, il prossimo anno, si possa mettere in campo una strategia coerente. Bisogna vedere se il governo avrà la forza per farlo”. A stretto giro di posta la non-risposta del ministro Poletti: “Per quanto riguarda gli interventi per le salvaguardie, voglio sottolineare che si tratta di un tema di grande valenza sociale attraverso il quale Parlamento e governo hanno voluto porre rimedio ad una grave ingiustizia prodotta dalla legge Fornero”.

Quando però si vanno a vedere i numeri, si scopre che lo stesso Poletti, parlando dell’ottava salvaguardia, ha anticipato: “Interessa attorno alle 20mila persone”. Aggiungendo poi di una “caratteristica particolare”: “Si prolungano i tempi di maturazione dei requisiti. Abbiamo individuato tre categorie che avranno 12, 24 e 36 mesi di tempo per accedere alla tutela. Così reputiamo di aver concluso questa operazione”. In realtà, dalle parole di Cesare Damiano (“Abbiamo chiesto di prolungare le scadenze di 36 mesi per i lavoratori in mobilità e di 24 mesi per gli altri. In questo modo si coinvolgerebbero altri 25-30mila lavoratori e si risolverebbe definitivamente il problema”), viene fuori che all’appello ne mancherebbero ancora 10mila circa. Aspettando, ormai da una settimana, i numeri veri.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento