Elly Schlein si iscrive al congresso del Pd. E lo fa invitando quanti la sostengono a partecipare al processo costituente aperto anche ai non iscritti. «Mi interessa aderire per portare proposte a una visione, e lo farò insieme ad altri, per definire il profilo del nuovo Pd». Niente candidatura, per ora, e lei stessa ci tiene a dire che «non serve una frettolosa corsa per cambiare il gruppo dirigente». Tra i tanti big che hanno parlato dopo il voto di settembre, pare la più convinta della fase costituente voluta da Letta, che definisce «un gesto di generosità e umiltà, non scontato», da parte dei dem. Schlein parla dalla sua pagina Instagram, oltre 1000 i contatti per circa 30 minuti di discorso in cui invita chi la segue ad «affollare» la costituente dem, richiamando il movimento «Occupy Pd» che lei stessa lanciò nel 2013 dopo l’affossamento di Prodi al Quirinale. «Allora non ci fu da parte del partito l’intelligenza di aprirsi e fare autocritica».

QUESTA VOLTA SCHLEIN, neodeputata, vede invece più di uno spiraglio. «Non è una adesione a scatola chiusa, a prescindere, ma voglio capire se c’è una possibilità di cambiamento reale, non stare a guardare da fuori, liberare le migliori energie che ci sono fuori e dentro il Pd». Schlein non si candida ancora, ma fissa alcuni elementi chiari del suo programma, centrato su disuguaglianze, lavoro e ambiente. «L’obiettivo è cambiare questo modello di sviluppo, partendo da una battaglia campale contro il precariato e il lavoro povero».

E «aprire le porte a mondi che non si sentono più rappresentati dal campo progressista», a partire dai più poveri che hanno smesso anche di andare a votare. Tra i punti citati il salario minimo, il no alle trivelle, una netta opposizione alle politiche «crudeli» del governo sui migranti e un avvertimento a Meloni: «Giù le mani dal reddito di cittadinanza». La chiarezza su questi tre pilastri alla fine della fase costituente e con la stesura del nuovo manifesto dei valori per Schlein è una precondizione: «Se non c’è una larga unita su questi temi è inutile fare una corsa di nomi, bisogna prima chiarire da che parte stiamo». Tradotto: la sua possibile candidatura dipenderà anche da quanta forza avranno i temi più di sinistra nel dibattito che durerà da qui a fine anno, tra iscritti e non, sul dna del nuovo Pd.

LA EX VICEPRESIDENTE del’Emilia Romagna respinge l’idea che dietro la sua corsa ci possa essere un accordo tra le vecchie correnti. E in particolare nega l’ipotesi di un accordo con Dario Franceschini: «È incredibile come in questo Paese ancora si faccia fatica a pensare che una donna si possa fare strada senza un uomo che la spinga da dietro. Se sono sopravvissuta in questi anni in politica è perché ho rifiutato logiche di cooptazione, quindi non c’è nessuna possibilità che io possa accettarle adesso». Anche Dario Nardella (secondo alcune ricostruzioni possibile partner di Schlein in un ticket), getta acqua sul fuoco: «Di ticket non so nulla, penso alle idee che posso portare al Pd. La cosa fondamentale è che il congresso non sia una resa dei conti: se non c’è una condivisione di valori si rischia una frattura profonda. E il nuovo leader rischia di vincere su un cumulo di macerie».

SCHLEIN NON CITA M5S o terzo polo, salvo un generico appello a «evitare le divisioni tra le forze alternative alle destre». Cita però a più riprese i giovani amministratori dem, e le iniziative organizzate da Brando Benifei a Roma alcuni giorni fa con gli under 35 («Coraggio Pd») e un’altra iniziativa di giovani autoconvocati che a Bologna. «Con loro ci sono battaglie da condividere». Sempre tenendo presente che «non è il momento di corse solitarie» e che «non ci serve un uomo o una donna sola al comando».

IMMEDIATO IL SOSTEGNO della sardina Mattia Santori, anche lui neoiscritto al congresso dem: «L’adesione di Elly è un toccasana per l’intero processo di rigenerazione e una garanzia per tutti quelli che aspettavano sull’uscio. La domanda su ‘chi vuol essere segretario?’ ce la faremo a gennaio. Adesso chiediamoci di che comunità politica vorremmo fare parte. Sarà battaglia di idee prima che di nomi. E farà bene anche a chi si augurava un finale scontato».