«Ci chiediamo come, in queste condizioni, possa andare avanti il governo», attacca il capogruppo dei senatori dem Francesco Boccia dopo la divisione del centrodestra sul terzo mandato per i governatori. Elly Schlein è dello stesso avviso: Meloni e Salvini, dice, «fanno bene a chiedersi se ci saranno ripercussioni sulla tenuta del governo, hanno un problema con le loro divisioni».

E tuttavia, nonostante il voto compatto dei dem in commissione (4 no alla proposta della Lega, che si sono uniti a quelli di Fdi, Fi, M5S e rossoverdi) la polemica è divampata dentro il Pd: diviso non solo tra parlamentari e amministratori (questi ultimi erano largamente a favore del terzo mandato), ma anche tra sostenitori di Schlein e di Bonaccini. Gli uomini vicini al governatore emiliano sono furiosi, e ritengono di essere stati presi in giro: «Lunedì in direzione avevamo deciso di discutere tra noi del terzo mandato per sindaci e governatori, c’era stata un’apertura della segreteria. E invece hanno deciso di votare no».

Come a dire: «C’è stata una finta apertura che ci ha spinto a ritirare il nostro ordine del giorno in direzione. E invece era molto meglio che lo votassimo segnalando la nostra posizione a favore del terzo mandato».
L’area di Bonaccini, Energia popolare, nata nella scorsa estate, dirama un comunicato di fuoco- il più duro dopo le primarie dello scorso febbraio- in cui esprime «forte disappunto» per il voto in Senato. «Non è stato rispettato l’accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l’unità del partito. Ora andrà gestito anche il malcontento di sindaci e presidenti. Se ne dovrà discutere appena dopo il voto in Sardegna».

Una minaccia seria. Chi conosce Bonaccini sa che peso abbia per lui l’accusa di non aver «salvaguardato l’unità del partito». «E ora come potremo fidarci di futuri accordi dentro il partito?», si domandano. Uno dei bonacciniani in segreteria, il senatore Alessandro Alfieri, attacca: «Il gruppo di lavoro sulla riforma degli enti locali, composto da persone che lavorano per l’unità, è stato delegittimato. Sono molto amareggiato». L’incendio non divampa solo perché domenica si vota in Sardegna. Ma anche nelle chat dei sindaci il malumore fa fatica a contenersi.

Eppure ieri mattina, durante la riunione dei senatori, non ci sono state molte obiezioni alla proposta di Franceschini di votare no. Per diversi motivi, oltre alla volontà di tenere saldo l’asse con 5S e Avs: il primo è che i dem, anche se avessero sommato i loro voti a quelli della Lega, non avrebbero avuto alcuna chance di far passare il terzo mandato, visto che Fdi, Fi e centristi di Lupi avevano 9 voti in commissione e il M5s non avrebbe mai votato a favore. E’ finita 16 a 4, se i dem fossero usciti sarebbe finita 12 a 4 per il no.

Inoltre, spiegano fonti dem, «è assolutamente inopportuno modificare le regole di eleggibilità per decreto, e si stava esaminando un decreto fatto per fissare la data delle europee. Cosa c’entravano i mandati dei governatori?». In più, si fa notare come quello leghista fosse un emendamento alla legge del 2004 «concepito ad personam per consentire a Zaia il quarto mandato». Quanto alle altre regioni prive di una legge regionale che preveda tetto ai mandati (Puglia, Campania e Liguria), spiegano fonti dem, «si sarebbe rischiato che il tetto di tre mandati partisse solo dopo l’approvazione di una norma regionale, consentendone dunque 5 o 6 ai governatori in carica».

Un pasticcio a cui i dem hanno voluto dire no. «Il Pd è pronto a qualsiasi discussione sia sul Testo unico degli enti locali sia sulla forma di governo regionale. Ma deve essere una discussione seria», spiega il senatore Andrea Giorgis. Il presidente Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro (Pd) annuncia: «Non lasceremo cadere questa battaglia, siamo pronti ad arrivare fino alla Corte costituzionale».