Elly Schlein riunisce al Nazareno la nuova delegazione dei venti del Partito democratico che andranno al parlamento europeo: sarà la più nutrita di tutto il gruppo dei Socialisti e democratici. Ci sono tra gli altri Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Matteo Ricci, Giorgio Gori, Cecilia Strada, Lucia Annunziata e Marco Tarquinio. «Abbiamo ridotto la distanza da Fdi – ribadisce la segretaria dando il benvenuto agli eletti – Stiamo arrivando». Poi ha assunto in prima persona il compito di tenere i rapporti con le altre componenti in vista della nuova commissione. «Avremo un ruolo determinante sui prossimi equilibri europei – prosegue Schlein – I numeri e la composizione della nostra delegazione ci chiamano alla responsabilità, ma ci danno anche forza. Per questo gestirò personalmente il negoziato, essendo molto chiara sulle condizioni che la nostra delegazione porrà per la composizione dei prossimi organismi europei».

GLI ELETTI rivedranno tutti martedì a Strasburgo per una prima riunione e per cominciare a scegliere l’organigramma della delegazione. Schlein suggerisce loro di insistere sui temi che stanno caratterizzando il Pd sulla scena nazionale. «Dobbiamo inchiodare il governo Meloni sulla questione sociale – sostiene – Dobbiamo continuare così, siamo il perno della costruzione dell’alternativa alle destre. Non abbiamo mai messo veti e non intendiamo accettarne.

Gli europarlamentari hanno accolto le sue indicazioni. E Decaro, l’uomo del mezzo milione di preferenze, si sofferma sulle alleanze: «Ora andiamo uniti ai ballottaggi, come ci si era impegnati a fare – dice l’ex sindaco di Bari – Spero che superate le europee si cercherà di valorizzare quelle cose che ci tengono insieme e che ora la coalizione progressista diventi una vera coalizione anche perché pure queste elezioni hanno dimostrato che il centrodestra non è maggioranza nel paese’».

Che il clima appaia all’improvviso disteso dopo il 24% delle urne è confermato dal fatto che un altro ex sindaco come Giorgio Gori dice che Schlein «ha fatto un ottimo lavoro nel collocare il partito su alcuni temi sociali. Noi, come amministratori, abbiamo fatto bene sul territorio». E Cecilia Strada commenta la scelta di espungere l’aborto dal documento finale del G7: «Mi auguro ricompaia nel testo finale – afferma – Se non ci sarà, saremo arrabbiati ma non sorpresi perché ogni volta che non mettiamo per iscritto un diritto lo stiamo togliendo a qualcuno. E questo è un governo che i diritti li toglie».

Intanto, nel giorno in cui Italia viva fa sapere che non fornirà indicazioni di voto per il ballottaggio a Firenze tra Sara Funaro e ed Eike Schmidt che si svolgerà i prossimi 23 e 24 giugno (ma la candidata renziana ha dichiarato il suo voto per la prima) si apprende che prima Stefano Bonaccini e poi Elly Schlein chiuderanno la campagna elettorale.

ASSIEME A M5S, Avs e +Europa, i dem hanno promosso la manifestazione che si terrà a Roma martedì 18 giugno, giorno in cui in senato si vota il premierato. Proprio i 5 Stelle ieri hanno vissuto una sorta di déjà vu: Beppe Grillo è arrivato a Roma al solito albergo sui Fori e ha incontrato Giuseppe Conte. Il vertice ttra il fondatore e il presidente del M5S, fissato dopo il deludente risultato delle europee, è durato poco più di un’ora. Conte ha risposto «Non vi fate troppi film» ai cronisti che gli hanno chiesto se con Grillo avrebbe parlato di cambiare le regole fondamentali del M5S, a partire dal tetto dei due mandati.

In seguito, Grillo ha incontrato il tesoriere Claudio Cominardi. «Abbiamo parlato di temi e di visione: si è affrontato il nodo della democrazia diretta, degli strumenti partecipativi a ogni livello, di ripartire dai comuni – ha poi riferito quest’ultimo – Grillo non si ferma al singolo risultato delle tornate elettorali, il M5S ha sempre avuto alti e bassi. Non si è parlato di passato ma solo di futuro. Beppe va al di là dei risultati elettorali, non giudica. Ha lo sguardo proiettato a venti o trent’anni: nel simbolo abbiamo la scritta 2050, mi auguro che rimanga quello».

Insomma, se Luigi Di Maio ha affermato con non poca malizia che Grillo «ha 300 mila motivi per stare in silenzio» riferendosi alla cifra che il M5S gli versa ogni anno per fare da consulente alla comunicazione, dai vertici pentastellati fanno passare l’idea che il fondatore stia dando una mano per definire il processo di «autoriforma» lanciato da Conte all’indomani delle elezioni europee. Conte è in difficoltà, visti i risultati elettorali, Grillo sta ormai da tempo un passo indietro.

Il primo subisce le pressioni di quelli che vorrebbero definitivamente scrivere uno statuto interno con regole canoniche, che gli consentano di scegliere i candidati e poter attingere alle figure storiche ora colpite dalla tagliola dei mandati. Il secondo ci tiene che i principi sopravvissuti al nuovo corso contiano restino validi, per marcare ancora l’anomalia M5S. Conte ha fatto di necessità virt, utilizzando i due mandati per fare piazza pulita dei parlamentari dell’epoca precedente. Ma le scelte potrebbero essere inevitabili. Ecco perché l’incontro tra i due viene definito come tranquillo ma soprattutto interlocutorio.