Politica

Schillaci, il ministro che ci mette la faccia

Il ministro della Salute, Orazio SchillaciOrazio Schillaci – Ansa

Sanità Il titolare del dicastero Salute, senza una base elettorale a cui rendere conto, non sbatte i pugni sul tavolo. Si adegua alla linea del capo

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 5 giugno 2024

Alla fine Schillaci ha dovuto ingoiare l’ennesimo rospo. Tutti i ministeri hanno strizzato un occhio ai propri bacini elettorali negli ultimi giorni a disposizione prima del voto, tranne il suo. Giorgetti è stato chiaro, i soldi per abbattere le liste d’attesa non ci sono. Di quelli per assumere i medici si parla l’anno prossimo, tanto al Mef chissà chi ci sarà. La bugia meloniana del «governo che ha investito più di tutti per la salute» è durata pochi mesi. Vanno bene i condoni, il ponte sullo Stretto, gli hotspot in Albania. La salute no, spiace.

È il destino dei vasi di coccio. Schillaci era sembrato il più fragile tra i ministri sin dalla nomina. Quando venne fuori il suo nome i cronisti rimasero spiazzati: un tecnico semisconosciuto nel governo più politico degli ultimi due decenni e in un posto-chiave come la salute? Dalla sua, il medico Schillaci aveva solo lo standing accademico. Ma poi la storiaccia delle ricerche riciclate e delle riviste-truffa aveva messo in dubbio pure quello.

Dal punto di vista di Giorgia Meloni la debolezza di Schillaci non è un problema, anzi: è ciò che ne fa l’uomo giusto al posto giusto. Un ministro senza una base elettorale a cui rendere conto non sbatte i pugni sul tavolo, si adegua alla linea del capo e lascia che a comandare davvero sia il sottogoverno. Non è un mistero che a Marcello Gemmato, suo sottosegretario e titolare di farmacia, riesca assai più facile far passare provvedimenti e nomine. A differenza del ministro, dalle prime due leggi di bilancio della destra i farmacisti hanno ricavato contributi economici diretti e percentuali più alte sugli incassi farmaceutici, grazie a un filo direttissimo con la premier. Il record di Schillaci invece è desolante. A mortificarne il ruolo non sono solo le periodiche schermaglie con il Mef a cui Meloni lo costringe, e da cui esce con un gran sorriso. Pure ieri ha detto: «Abbiamo ottenuto ciò che volevamo».

Anche il Pnrr doveva vederlo tra i protagonisti. Invece il governo ha preferito dirottare altrove 1,2 miliardi destinati all’edilizia ospedaliera, i fondi necessari alla realizzazione di un terzo delle case di comunità, quasi la metà di quelli destinati al biotecnopolo di Siena, che doveva trovare nuovi vaccini ma a oltre un anno e mezzo dal varo è ancora fermo. Nemmeno sulle nomine più importanti ha toccato palla. Altrimenti avrebbe fatto a meno di affidare la direzione generale della prevenzione al chiacchieratissimo Francesco Vaia, che però piace tanto a Meloni. O dell’oscuro farmacista barese Vincenzo Lozupone, che l’amico Gemmato ha piazzato alla commissione tecnica dell’Aifa (prima di un imbarazzato passo indietro). Non era nella rosa di Schillaci neanche il neo-presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Rocco Bellantone, cugino del sottosegretario e factotum meloniano Giovambattista Fazzolari.

Da rettore, all’ateneo di Tor Vergata aveva applicato le misure d’emergenza in epoca di Covid con scrupolo perfino eccessivo. All’epoca, era tra quelli che definivano il green pass «indispensabile per la sicurezza» e nel suo ateneo aveva voluto un hub vaccinale. Al governo però il tema è ancora tabù, perché le bandierine servono eccome. Così Schillaci ha dovuto abbozzare pure sui vaccini. Dell’hub di Siena si è detto, fa niente se lì c’è un guru mondiale del settore come Rino Rappuoli. Il nuovo piano antipandemia prevede chiusure e vaccinazioni di massa? Meglio lasciarlo nei cassetti fino al voto, anche se quello precedente è scaduto da mesi. L’Oms discute di un trattato di cooperazione internazionale in vista di future emergenze sanitarie? E Schillaci va Ginevra e mette di traverso l’Italietta sovranista come chiede Palazzo Chigi (dove la capa cerca l’accordo con von der Leyen, quella che trattava con Pfizer via sms).

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