Scandar Copti: «La censura è il sottoprodotto della disumanizzazione»
Venezia 81 Intervista al regista palestinese, al Lido con "Happy Holidays", presentato nella sezione Orizzonti
Venezia 81 Intervista al regista palestinese, al Lido con "Happy Holidays", presentato nella sezione Orizzonti
Scandar Copti è palestinese, nato a Jaffa vive oggi in Qatar. «Non potrei tornare, soprattutto adesso la violenza contro i palestinesi è diventata impossibile» dice. Non è però una condizione degli ultimi mesi, dall’attentato del 7 ottobre, ma è sempre stata lì, nelle relazioni, negli attacchi omicidi dei coloni in Cisgiordania, in una società che nel suo essere interroga profondamente il significato di «democrazia». Happy Holidays nasce da qui, pensato diversi anni fa ha avuto una realizzazione lunga, le riprese sono iniziate nel 2020 poi si sono fermate col covid.
COPTI, che prima di fare cinema ha studiato ingegneria, ha bisogno di tempo, i suoi attori sono sempre non professionisti e per sceglierli lavora sulle esperienze personali di chi partecipa al cast e sulle narrazioni collettive da cui arriva la voce della minoranza palestinese che vive in Israele. Racconta accendendo una sigaretta – «è l’emozione (ci vediamo il giorno prima della proiezione pubblica, ndr), avevo smesso di fumare» si giustifica. «Ricordo di avere sentito una mia parente dire al figlio, parlando ci sua moglie, che non doveva mai ‘farsi mettere sotto’ da una donna. Mi aveva colpito quella frase, mi sono chiesto come era possibile che una donna parlasse di un’altra donna in quel modo, e la risposta è che la concezione patriarcale è così radicata che anche molte donne sentono di aderirvi.. Mi interessano le intersezioni nei rapporti umani, quelle zone in cui si consolida una visione del mondo. È un meccanismo di auto-convincimento che sostiene la certezza di vivere bene, di non avere problemi. Quando ero all’università, e studiavo ingegneria meccanica l’ho ritrovato nella società israeliana in cui le tradizioni vengono utilizzare per strutturarla nel segno della militarizzazione e ugualmente del patriarcato. Per questo il film è chiuso fra la festa del Purim e il giorno del Ricordo israeliano. La celebrazione di queste ricorrenze hanno un impatto emozionale molto forte sui personaggi, e soprattutto su come viene costruita la narrazione della realtà».
Happy Holidays – presentato negli Orizzonti, in Italia uscirà per Fandango – intreccia i vissuti di più personaggi, i fratelli arabo-israeliani Fifi (Manar Shehab) e Rami (Toufic Danial), la loro madre Hanan (Wafaa Aoun) e il padre Fouad (Imad Hourani), la compagna di Rami, (Shani Dahari), e sua sorella (Meirav Memoresky), entrambe israeliane. Rami cerca di convincere la fidanzata a non annullare l’aborto programmato. Hanan e Fouad sono alle prese con problemi finanziari, Fifi ha una storia d’amore con un medico amico del fratello e nasconde dei segreti. «Mi interessava lavorare su cosa significa fare una scelta e non mostrare una dimensione binaria di bianco/nero, giusto o sbagliato. Seguo il processo che porta a scegliere, il modo in cui lo affrontiamo. E quanto siamo condizionati dalle narrazioni che ci circondano, dalle autorità a cui siamo sottoposti a cominciare da quella dei nostri genitori».
NELLA TRAMA prende appunto corpo la violenza della società israeliana dove le coppie interconfessionali arabo-ebraiche sono emarginate, i disegnini di feti coi berretti militari sono affissi negli ospedali, il suono delle sirene anti-missile fa parte del paesaggio quotidiano, ai bambini viene insegnato a venerare i soldati. E adesso? «La situazione ora è terribile, e il resto del mondo è in silenzio. Non si parla mai di genocidio per ciò che sta accadendo a Gaza, mentre si è cercato con ogni mezzo di cancellare l’identità palestinese». Aggiunge: «Io sono per l’attivismo non violento, è chiaro che condanno il terrorismo. Ma nessuno in Israele si schiera mai contro l’occupazione che non può permettere un futuro per tutti». Anche in occidente sembra che oggi parlare di Palestina e esprimere un pensiero critico sulla politica israeliana sia diventato impossibile. In Germania arrestano chi canta «Dal fiume al mare». «La mia prima reazione a questa censura mondiale è stata pensare a un film, che sappia esprimere una narrativa diversa della nostra resistenza di palestinesi» – sta lavorando a un documentario, A Childhood sulle vite dei bambini palestinesi sotto l’occupazione israeliana e nelle loro prigioni, ndr. «Questa censura è il sottoprodotto della disumanizzazione a cui siamo costantemente sottoposti, come arabi in generale e come palestinesi in particolare chiusi in una serie di luoghi comuni che ci cancellano dalla storia».
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