Nelle storia dell’elezione diretta dei presidenti di Regione non si era mai visto un impasse come quello del centrodestra sardo: si vota il 25 febbraio, le liste si devono presentare il 22 gennaio e ancora non si sa se il governatore uscente, Christian Solinas, del partito sardo d’azione gemellato con la Lega, sarà o meno ricandidato dai partiti che l’hanno sostenuto per 5 anni. E non si sa neppure quando sarà convocato il tavolo dei tre leader nazionali per sbrogliare la matassa.

IL MESSAGGIO CHE MELONI sta mandando agli alleati, in primis a Salvini, è chiarissimo: Fdi ha scelto di lanciare il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, vicino alla leader, e non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro. Toccherà a Salvini decidere se accucciarsi o correre da solo, strada assai impervia e certamente destinata all’insuccesso. Pesano i numeri delle ultime politiche: Fdi ha preso il 23%, la Lega sull’isola si è fermata al 6%.

Fdi in Sardegna ha l’ok di Forza Italia su Truzzu: una contraddizione non da poco, visto che i forzisti ripetono da settimane che i presidenti uscenti vanno ricandidati. Lo dicono in particolare per salvare la poltrona del governatore della Basilicata Vito Bardi, vicinissimo a Tajani: la sua è un’altra casella su cui i meloniani vorrebbero mettere le mani. Mentre la corsa di Alberto Cirio (anche lui di provenienza Forza Italia) in Piemonte non viene messa in discussione.

«Il principio per Forza Italia è quello di ricandidare gli uscenti dove ci siano governatori o sindaci di centrodestra», ha ribadito ieri il capogruppo di Fi alla Camera Paolo Barelli. Peccato che Fi abbia già scaricato Solinas. La Lega prova a uscire dall’angolo con la proposta del vicesegretario Andrea Crippa: ricandidare tutti gli uscenti (compresa la leghista Donatella Tesei in autunno in Umbria) e lasciare ai meloniani la scelta dei 4 candidati che nel 2025 correranno nella 4 regioni a guida Pd: Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia.

Ragionamento che, nella testa dei leghisti, prevede una norma (che Fi e Fdi non vogliono) per consentire a Luca Zaia e Giovanni Toti di correre rispettivamente per il quarto e terzo mandato in Veneto e Liguria. In ogni caso, ha detto ieri Crippa al Corriere, «il Veneto continuerà a essere governato da un leghista».

IL BRACCIO DI FERRO tra Meloni e Salvini si è spinto così avanti che è difficile prevedere quali saranno le conseguenze. Sul governo nazionale non ce ne saranno, in Abruzzo un eventuale defezione leghista non farebbe troppo male al meloniano Marco Marsilio, che corre per il secondo mandato. Eppure Crippa alza i toni: «Ho presente quel che è successo a Terni. Fdi non ha voluto confermare il sindaco uscente e abbiamo perso. Non credo valga la pena correre quel rischio». Tajani si dice certo dell’intesa: «La compattezza del centrodestra è fuori discussione, poi che ci sia qualche dibattito è normale, sennò saremo una coalizione di addormentati. Sono convinto che si troveranno accordi in tutte le Regioni e in tutte le città, come sempre fatto».

UNA COSA È CERTA: in Sardegna ci saranno vincitori e vinti. E la probabile sconfitta di Salvini è destinata ad avere conseguenze. «Per noi è una questione di principio», insiste Crippa. Dai piani alti di Fdi replicano che la regola della ricandidatura degli uscenti «non è scolpita nel marmo visto che per Musumeci in Sicilia non valeva (il presidente di Fdi non fu ricandidato e il suo posto lo prese Renato Schifani, ndr) ». «Dunque possiamo seguire due metodi: o il ragionamento o i rapporti di forza: in entrambi i casi in Sardegna tocca a noi». Ieri Truzzu ha tenuto la prima riunione operativa con gli alleati: Lega a sardisti non c’erano. Lui ha detto di sentirsi candidato e ha chiesto ai ribelli di accodarsi: «L’’augurio è che presto possano essere con noi in squadra».

LA PRIMA REAZIONE DI SALVINI è l’annuncio di non volersi candidare alle europee, mettendo così un ostacolo alla corsa di Meloni: la premier aveva detto che i tre leader di maggioranza avrebbero preso una decisione comune: o tutti o nessuno. «Vorrei candidare Vannacci», aggiunge il leghista.

A sinistra si guarda al Piemonte: Pd e M5S ancora non hanno trovato un accordo sull’anti-Cirio. Il Pd è in pressing sui riottosi potenziali alleati, a cui ricorda che in Sardegna la grillina Todde è stata difesa dai dem nonostante il fuoco “amico” dell’ex governatore Renato Soru. Fino a quando Giuseppe Conte potrà inseguire le vendetta di Chiara Appendino contro i dem che le fecero opposizione a Torino? Fino al punto di riconsegnare la regione a Cirio ancora prima di votare?

Il leader 5S lancia altri segnali di battaglia: «Cerchiamo di mantenere il dialogo col Pd, ma non ci chiedete di confluire in una federazione, in un’alleanza, non è la nostra vocazione». E ancora: «Il leader dell’opposizione non lo sceglie Meloni ma i cittadini».

ACQUE AGITATE ANCHE a Firenze: l’ex assessora Cecilia Del Re, uscita dal Pd con 3 consiglieri, ha aperto la guerriglia contro il sindaco Nardella chiedendo di rinviare l’approvazione del bilancio preventivo 2024. A destra si accarezza una pazza idea: puntare su di lei, in una chiave civica, invece che sul direttore degli Uffizi Eike Schmid . Fantapolitica?