Sanità, la missione incompiuta del governo
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Sanità, la missione incompiuta del governo

Sanità Molti dossier aperti, dagli standard ospedalieri alle case di comunità
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 23 luglio 2022

Negli affari correnti di cui il governo potrà continuare a occuparsi la sanità avrà una parte importante. Lo stesso presidente della Repubblica ha indicato la pandemia di Covid-19 come una questione che «non ammette pause». Dunque, il ministero dovrà continuare a monitorare l’evoluzione della pandemia e, nel caso, intervenire con nuove ordinanze. È attesa, ma con tempi ancora da definire, una nuova norma che abbrevi la durata dell’isolamento dei positivi. Ma se si avvererà la temuta «ondata d’autunno», il ministro uscente Speranza potrebbe essere chiamato, finché non si sarà insediato il nuovo governo, a intervenire con nuove misure di prevenzione anti-Covid19. Rimarrà in piena attività l’Unità per il completamento della campagna vaccinale presso la Presidenza del Consiglio. C’è da gestire la somministrazione della quarta dose agli ultra-sessantenni. Mercoledì, con 67 mila dosi, si è toccato il picco di vaccinazioni giornaliere. L’obiettivo del governo è arrivare a centomila. Non è escluso un allargamento autunnale della platea, come già deciso negli Usa. Dipenderà dai nuovi vaccini in arrivo e dall’andamento del virus.

Altri dossier invece rimarranno aperti e sarà il prossimo governo a farsene carico. Tra i più importanti ci sono le riforme dell’assistenza sanitaria post-pandemia. La prima riguarda gli standard ospedalieri, cioè il numero di posti letto a disposizione dei cittadini. Il cosiddetto «Dm 70» risalente alla gestione Lorenzin li aveva tagliati portandoli a 3,2 ogni mille abitanti, contro i 5,7 della Francia e i 7,8 della Germania. Le ondate del Covid hanno regolarmente saturato reparti e pronto soccorso, con conseguente riduzione dell’assistenza per altre patologie e rinvio di interventi programmati. La riforma era quasi in porto ma ora la crisi di governo rimette tutto in discussione. In ogni caso, il nuovo dm 70 non prometteva rivoluzioni. In sostanza, era previsto un aumento dei posti letto solo nei reparti di terapia intensiva e sub-intensiva, anche perché senza assumere medici allargare l’offerta ospedaliera è impossibile.

La riforma più ambiziosa riguarda però la sanità territoriale, l’anello debole del Servizio sanitario nazionale (Ssn) spazzato via dalla pandemia. È uno degli impegni sottoscritti nel Pnrr e il governo Draghi è riuscito ad approvarla con il decreto ministeriale 77 e senza aspettare l’accordo delle Regioni. Il dm prevede la realizzazione di 1288 «case di comunità» in cui i cittadini – almeno sulla carta – dovrebbero ricevere cure primarie, diagnostica di base, raccordo con i servizi sociali. Per attuarlo sono necessarie diverse norme collaterali. La più importante è una legge ancora tutta da scrivere che regoli lo status dei medici di base. Oggi sono liberi professionisti in convenzione, con una certa libertà negli orari di lavoro. Per collocarli nelle «case di comunità» è necessario rivedere le norme che li legano al Ssn. C’è chi, come la Fp Cgil, propone di internalizzarli come dipendenti.

L’ipotesi però è nettamente osteggiata dal sindacato maggioritario tra i medici, la Fimmg. Il dibattito ripartirà solo con una nuova maggioranza, non prima del 2023. Le case di comunità rischiano dunque di rimanere scatole vuote, proprio come temono le Regioni. «Senza una nuova legge rimane in vigore la legge Balduzzi del 2012» avverte Andrea Filippi, segretario dei medici Cgil. «La riforma è incompleta anche perché il dm 77 non specifica i servizi che le Regioni sono obbligate ad assicurare nelle «case». Inoltre, ricorda, al ministero erano aperti i tavoli sulla riforma dell’assistenza ai non auto-sufficienti, dell’assistenza domiciliare e si stava per aprire quello sulla salute mentale, tasselli fondamentali per la sanità territoriale. «Anche sulla prevenzione il ministero aveva rimandato la riforma a interventi successivi, che ora non arriveranno».

Infine c’è la questione del contratto nazionale dei dirigenti medici. «L’accordo quadro c’è già e le Regioni devono promulgarlo» spiega Filippi. «Manca la bollinatura del governo, un atto poco più che formale. Chiediamo che tra gli affari correnti sia inclusa anche questa firma».

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