Sanaa Seif rapita da agenti in borghese alla procura del Cairo
Egitto Volto della rivoluzione di Piazza Tahrir e sorella di Alaa Abdel Fattah, è accusata di incitamento al terrorismo. Portata via mentre con la famiglia stava denunciando il pestaggio subito domenica di fronte al carcere di Tora, dov'è detenuto il fratello
Egitto Volto della rivoluzione di Piazza Tahrir e sorella di Alaa Abdel Fattah, è accusata di incitamento al terrorismo. Portata via mentre con la famiglia stava denunciando il pestaggio subito domenica di fronte al carcere di Tora, dov'è detenuto il fratello
Sanaa Seif, giovane attivista egiziana e sorella minore di Alaa Abdel Fattah, prigioniero politico di lungo corso e volto della resistenza contro ogni regime, da Mubarak ad al-Sisi, è stata rapita ieri in pieno giorno da uomini in borghese nell’ufficio del procuratore generale.
Nemmeno due ore dopo era sotto interrogatorio, accusata di diffusione di notizie false, abuso dei social media e incitamento al terrorismo. In serata le sono stati comminati 15 giorni di detenzione cautelare.
È successo tutto in pochissimo tempo. La prima a denunciare la sparizione di Sanaa è stata la sorella Mona Seif, anche lei nota attivista. Lo ha scritto su Twitter, immediatamente: Sanaa è stata presa da uomini in abiti civili, caricata su un furgoncino e portata via.
«USARE IL TERMINE “arrestata” – ha aggiunto in un tweet successivo – implica una legalità del procedimento. Sanaa Seif non è stata “arrestata”, è stata rapita e il suo rapimento è stato facilitato dalle guardie dell’ufficio del procuratore generale. Le violazioni commesse contro la mia famiglia continuano e crescono con la benedizione del procuratore generale d’Egitto Hamada El Sawy».
Ovvero l’uomo conosciuto in Italia per essere il responsabile della pressoché nulla collaborazione tra procure sul caso della morte di Giulio Regeni. È andata esattamente così, Sanaa è stata rapita mentre con la sorella Mona e la madre Laila stava denunciando quanto accaduto appena il giorno prima, il pestaggio subito di fronte al super carcere di Tora dove è detenuto dallo scorso settembre Alaa Abdel Fattah.
ERANO LÌ PER AVERE notizie, da tre mesi non possono vederlo per le pretestuose misure di contenimento del Covid-19 ordinate dal governo del presidente al-Sisi: visite familiari vietate, a fronte di carceri sovraffollate, sporche, con pessime condizioni igieniche e di aerazione.
I dati a disposizione parlano di 28 prigioni colpite dal Covid, almeno dieci prigionieri deceduti e 133 contagiati, insieme a 22 poliziotti.
A metà marzo le tre donne erano state arrestate per un sit-in di fronte a Tora: chiedevano la liberazione di tutti i detenuti politici, circa 60mila, sestuplicati dai tempi del non certo tollerante regime di Mubarak. Con loro era stata arrestata anche Ahdaf Soueif, scrittrice e sorella di Laila.
Domenica una nuova vessazione, il pestaggio da parte di alcune donne – probabilmente mandate dal regime – sotto gli occhi degli agenti che non sono intervenuti. La denuncia si è trasformata, nell’arresto di Sanaa. Ventisette anni, attiva dai tempi della rivoluzione del 2011 quando creò un giornale della piazza che superò le 30mila copie, era stata già detenuta nel 2014 per sei mesi.
I CRIMINI DEL REGIME egiziano proseguono, senza soluzione di continuità. Il 17 giugno scorso la detenzione preventiva dello studente Patrick Zaki, in carcere dal 7 febbraio, è stata rinnovata di altri 15 giorni. Per lui è nata la campagna «100 Città con Patrick», lanciata dalla rete di studenti e giovani GoFair, che chiede ai comuni italiani di concedere al giovane la cittadinanza onoraria.
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