«Lo Yemen è stato fatto dai suoi abitanti, che però non l’hanno scolpito ma costruito, mettendo pietra su pietra un lavoro che a poco a poco è diventato per loro spontaneo, come respirare». Così scrivevano nel 1977 Paolo Costa ed Ennio Vicario nel loro Yemen paese di costruttori dato alle stampe da Electa. Ed è questa citazione, richiamata da Sabina Antonini – responsabile scientifica del progetto Identità di un popolo a rischio. Documentazione e stato di conservazione dei monumenti islamici a rischio – ad aprire il volume The Great Mosque of San‘a’. Conservation intervention (2005-2015) dedicato al restauro della Grande Moschea di San’a da parte di una squadra italo-yemenita.

Secondo le prime fonti islamiche questa moschea sarebbe stata fondata seguendo le istruzioni del profeta Maometto, che ne indicò il sito e l’orientamento. Si tratta quindi di una delle moschee più antiche al mondo e l’unica che ha mantenuto, secolo dopo secolo, alcune caratteristiche originali. Tra queste, la cupola lignea a cesto posta sopra al mihrab, di tipo sasanide: è possibile che sia stata copiata da un’analoga cupola presente nel palazzo del governatore persiano di San’a in epoca preislamica. Inizialmente di dimensioni modeste, la moschea fu successivamente ingrandita per ordine del califfo omayyade al-Walid I (c. 707), che fece apporre iscrizioni e promosse straordinarie opere di artigianato. Il soffitto era sorretto da arcate, a loro volta sostenute da colonne e capitelli nello stile tipico dell’Arabia meridionale.

Negli anni Settanta del Novecento le autorità yemenite avevano intrapreso una prima ristrutturazione, a seguito di danni a parti della moschea causati da forti piogge. In seguito, è intervenuto il Social Fund for Development, un’organizzazione senza scopo di lucro operativa in Yemen, che ha coinvolto l’Istituto Veneto per i Beni Culturali. È quest’ultimo, grazie a un finanziamento della fondazione Aliph, ad avere dato alle stampe il volume The Great Mosque of San‘a’. Conservation intervention (2005-2015) a cura di Renzo Ravagnan e Maurizio Merlo (Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 2022, pp. 424). In tiratura limitata, l’opera si rivolge agli studiosi e alle istituzioni internazionali. La versione italiana relativa alla parte sul restauro è destinata a tecnici e studenti. Per ricevere la versione PDF i lettori del manifesto possono scrivere al curatore Maurizio Merlo (laboratorio@pivbc.it).

Arricchito da immagini, il testo è composto da quattro sezioni: la Grande Moschea di San’a’, l’intervento conservativo da parte della squadra italo-yemenita, lo studio e la conservazione della struttura muraria, le investigazioni per la diagnosi delle superfici dipinte. Nella seconda sezione, Ravagnan si sofferma sulla formazione del personale locale: a essere selezionati erano stati giovani studenti yemeniti, tra cui anche donne, laureati in Archeologia, Architettura e Storia antica. Si era trattato di un corso di 400 ore di studi teorici e di 500 ore di attività pratiche. Un insegnamento complesso, durato anni, in diversi settori del restauro. Ogni professionista aveva dedicato due settimane a una determinata materia, con l’ausilio di un’interprete dall’italiano in arabo. Dopo l’avvio del progetto pilota nel 2006, l’anno seguente era iniziato il vero e proprio lavoro di restauro, partendo dalle straordinarie decorazioni lignee policrome del soffitto: oltre tremila metri quadrati, circa 5200 cassettoni tutti intagliati e dipinti.

In quell’occasione, gli operatori italiani erano stati affiancati da venti yemeniti selezionati tra i partecipanti ai corsi. I lavori sono terminati nel 2015, poco prima dell’inizio dei bombardamenti della coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita. Questo libro è quindi il frutto degli studi e del lavoro sulla e nella Grande Moschea di San’a’, inserita nel centro della città murata della capitale yemenita, tra le case a torre alte anche nove piani, con le facciate ornate di fregi, le finestre in alabastro traslucido, i vetri colorati racchiusi in merletti di gesso. Il libro contiene saggi di esperti che, oltre a ricostruire la storia della moschea, a riportare valutazioni sulla qualità e la datazione delle sue decorazioni, a leggere e interpretare le iscrizioni coraniche e storiche incise su fasce lignee tutt’intorno alle pareti, esamina gli interventi effettuati per la sua salvaguardia strutturale ed estetica. A occuparsi della trascrizione e della traduzione delle iscrizioni è stato Giovanni Canova, arabista all’Orientale di Napoli.