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San Vittore, morire a 18 anni carbonizzato in una cella

Milano, carcere di San Vittore foto di Luca Bruno/ApMilano, carcere di San Vittore – foto di Luca Bruno/Ap

Carcere Jussef Baron Motkar Loka era arrivato dall’Egitto dopo una feroce detenzione in Libia. Gli era stato diagnosticato un politrauma in un quadro clinico grave

Pubblicato circa un mese faEdizione del 7 settembre 2024

Si chiamava Jussef Baron Motkar Loka, aveva da poco compiuto 18 anni, era arrivato dall’Egitto tre anni fa dopo una feroce detenzione nei campi in Libia dove aveva subito maltrattamenti e torture fisiche e mentali. Violenze che non lo hanno più lasciato, fino a giovedì notte quando Jussef è morto carbonizzato in una cella del carcere milanese di San Vittore. Era stato arrestato qualche mese fa per rapina e si trovava in carcere in custodia cautelare, in attesa di giudizio. La ricostruzione di quanto successo è affidata alla Procura di Milano. A prendere fuoco sarebbe stato un materasso.

IL RAGAZZO non era solo, con lui c’era un altro detenuto rimasto lievemente intossicato dal fumo e che la procura ha iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo. Un’ipotesi tecnica necessaria per procedere con tutti gli accertamenti del caso, spiegano dalla Procura. Il materasso potrebbe essere stato bruciato come forma di protesta compiuta da entrambi, ma non si esclude neanche l’atto autolesivo volontario: il suicidio. In passato Jussef era già stato assolto due volte, quando era ancora minorenne, per vizio totale di mente. In entrambi i procedimenti a suo carico era stato sottoposto a perizia psichiatrica risultando incapace di intendere e volere. «A 15 anni era finito in un campo di concentramento in Libia, esposto continuamente alla violenza» ha raccontato l’avvocata Monica Bonessa che lo assisteva prima che il ragazzo raggiungesse la maggiore età.

«ERA ARRIVATO in Italia su un barcone con mani e piedi legati. Un’esperienza di cui lui non riusciva nemmeno a parlare. Gli era stato diagnosticato un politrauma in un quadro clinico grave ed era stato ritenuto socialmente pericoloso per sé e per gli altri» ha detto l’avvocata. Era stato affidato più volte alla comunità d’accoglienza Il Gabbiano, a inizio anno ci era rimasto quasi 5 mesi. «Poi si allontanava per tornare a Milano, suo sogno e incubo» ci racconta Cecco Bellosi, direttore de Il Gabbiano, che lo ricorda come «un nostro ragazzo».

INSIEME AGLI OPERATORI e alle operatrici della comunità ha scritto una lettera per ricordare il ragazzo: «Dico nostro non solo perché è stato in comunità, ma anche perché abbiamo provato più volte a continuare ad accoglierlo anche quando se ne andava a Milano finendo nei guai, che gli hanno fatto varcare la soglia di quell’inferno che è San Vittore» hanno scritto. «Era un ragazzo affettuoso e sensibile. Ricordo i suoi abbracci intensi, che chiedevano protezione e tenerezza. E il suo sguardo, pieno di un sorriso malinconico. La sua sofferenza era emotivamente comprensibile, razionalmente imperscrutabile. Joussef è morto a 18 anni in un carcere bolgia sovraffollato e pieno di sofferenza mentale. Il dolore che chi l’ha conosciuto sta sentendo è pari all’affetto che abbiamo provato e proviamo per lui, ma soprattutto all’affetto che lui ci ha donato». San Vittore è il carcere più sovraffollato d’Italia: oltre 1.100 detenuti a fronte di 445 posti disponibili. «Un terzo è minore di 30 anni, con una grossa fetta di giovanissimi» racconta Valeria Verdolini di Antigone Lombardia. «Il 75% sono stranirei. San Vittore raccoglie gli ex minori stranieri non accompagnati che diventano adulti, molti di loro hanno problemi di salute mentale, hanno subito violenze, torture, hanno problemi di dipendenze, il carcere non è il posto per raccogliere quelle fragilità».

POCO LONTANO c’è il minorile Beccaria, altro luogo di detenzione trasformato in violenta discarica sociale. «Tanti detenuti che potrebbero scontare parte della pena fuori dal carcere non lo fanno perché non hanno casa e provengono da situazioni di estrema marginalità. La situazione non è più tollerabile» scrive la Cgil di Milano. L’assessore al welfare di Milano Lamberto Bertolè chiede al governo «scelte coraggiose. Dobbiamo evitare in tutti i modi il rischio dell’assuefazione».

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