Salvini fa finta di niente ma può diventare un guaio
Regionali La sconfitta della Lega
Regionali La sconfitta della Lega
Giorgia Meloni ha un problema: la Lega, anzi la debolezza della Lega. Salvini fa l’indifferente: «Nella vita si vince e si perde. Io lavoro per il futuro, faccio tesoro delle sconfitte e guardo avanti». Giusto, sempre che si abbia un futuro e almeno il dubbio, con un Carroccio salassato quasi sino alle ultime gocce dalla voracità dell’alleata, inizia a essere lecito.
Il quadro è desolato soprattutto perché identico e fallimentare ovunque si volga lo sguardo. Il calo di voti è impressionante. Il sorpasso da parte di Fi si configura come ormai consolidato. L’autonomia differenziata è stata trasformata dalla Consulta in una scatola vuota e non è detto che la spoliazione sia finita qui: incombe ancora il rischio del referendum ma anche, ben più immediato, quello di interventi drastici da parte degli stessi alleati, sia azzurri che tricolori. Una condanna nel processo Open Arms regalerebbe al ministro imputato una bella medaglia da sfoggiare con la peggior destra europea ma sarebbe magra consolazione. In due anni di governo gli obiettivi della Lega sono stati puntualmente mancati, tutti e ciascuno.
Il colpo di grazia vuol darlo la premier, che non ha mai compreso la differenza tra un capopartito e un leader di coalizione e pertanto è decisa a mettere la sua bandierina sul Veneto. Messo alle strette sul tema Salvini glissa: «Non giochiamo a Risiko. Sceglieremo i candidati migliori regione per regione». Quando arriverà il momento di scegliere quello per il Veneto la tensione s’impennerà per forza. Stessa linea, quella della minimizzazione, se si parla degli eventuali danni portati dal ciclone Vannacci: «Noi schiacciati su Vannacci? È un europarlamentare della Lega molto in gamba e in Liguria, dove c’era Vannacci, abbiamo vinto».
«Non mi pare che la Lega possa dire di non trarre giovamento dal suo stare in maggioranza», commenta il capogruppo di FdI Foti e in effetti la reazione di Salvini sembra dargli ragione. Il ruggente leghista fa finta di niente, evita qualsiasi accenno anche vagamente battagliero, si arrende sull’Ucraina: «Le armi per difendersi le abbiamo sempre sostenute e i nostri voti non mancheranno ma spero che Trump porterà la pace». Con una posizione così arrendevole, il medesimo Trump non ci metterà molto a capire che gli conviene puntare su Meloni, per quanto poco se ne fidi, e se non ci arriverà da solo provvederà l’amico americano di Giorgia, Elon Musk.
Nonostante il capo leghista rifugga ogni polemica almeno due rischi impliciti nella caduta libera del Carroccio si vedono a occhio nudo: il primo è che nonostante le rassicurazioni l’ex Capitano inizi a un certo punto a scalciare e divincolarsi, il secondo che sia la stessa Lega a dargli il benservito per assumere posizioni meno rumorose ma per la premier più temibili sul piano della contrattazione. Ma c’è anche un terzo rischio: una Lega in ginocchio e depotenziata finirebbe per danneggiare, in termini di consenso, tutta la destra e la sua leader più di ogni altro.
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