I toni truculenti non attaccano. E Meloni fa gli auguri ai vincitori
Quando vince, Giorgia Meloni infierisce. Quando perde si scopre istituzionale. «Desidero rivolgere i miei auguri di buon lavoro ai due presidenti. Al di là delle differenze politiche, auspico una collaborazione costruttiva», scrive su X. Poco prima Elena Ugolini aveva per prima riconosciuto la sconfitta emiliano-romagnola con ben maggiore calore: «Ho telefonato al presidente De Pascale per complimentarmi. La sua è stata una vittoria schiacciante». Quella vittoria era prevista. Le dimensioni «schiaccianti» no. Meno di cinque anni fa la roccaforte rossa sembrava contendibile. Oggi è chiaro che non c’è partita.
Brucia di più l’Umbria. Dopo l’arruolamento del truculento sindaco di Terni Stefano Bandecchi la destra ci sperava davvero, invece il ternano si è dimostrato poco utile e forse controproducente. Non è bastato, forse non ha neppure aiutato a recuperare l’impopolarità della presidente uscente, Donatella Tesei, targa Carroccio.
Sono le due eterne croci della premier: la mancanza di una classe dirigente in grado di supportarla e dunque di consolidare e mantenere le vittorie e una coalizione, inclusa buona parte del suo stesso partito, che tra ammiccamenti ai «Boia chi molla» di Casa Pound e le «zecche rosse» di Matteo Salvini smentisce puntualmente la svolta istituzionale e seria di cui proprio lei è principale e in realtà quasi unica testimonial.
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Due sorrisi nel vuotoSono guai e fossero tutti qui. C’è di peggio. C’è la Lega. Il tracollo di Salvini, roba da una trentina di punti percentuali in meno se si guarda alle regionali scorse, non sorprende e quindi non traumatizza: era un’altra epoca storica. Ma quello della Lega è peggio di un tracollo. Scivola in area sopravvivenza, intorno al 5% in Emilia e si ritrova superata ma di decimali dagli azzurri, pur a loro volta molto malridotti. Va un po’ meglio in Umbria, con l’8% e rotti ma lì il sorpasso di Forza Italia, intorno al 10%, è più netto e più solido. Nel giro di una settimana che più nera non poteva essere Salvini si ritrova a rischio fortissimo di diventare il terzo partito della coalizione, ridotto ai minimi termini quanto a voti e con l’autonomia differenziata trasformata in un simulacro, un guscio vuoto.
Quanto possano reggere i nervi dell’ex “capitano”, oggi tutt’al più sergente maggiore, è dubbio. Molto dipenderà dalle regionali del prossimo anno, dove però alla lista di schiaffoni si dovrebbe aggiungere lo scippo del Veneto già deciso da una Meloni che sul tema è incrollabile. Non sarà facile per il capo leghista ma non sarà facile neppure per la leader che deve tenere insieme la sua coalizione.
La consolazione è che i risultati di ieri qualche nervosismo di troppo lo creano anche nel campo largo. Detto campo non ha vinto: ha vinto il Pd che primeggia nell’opposizione in misura quasi esagerata, persino più di quanto non capiti dall’altro lato con FdI. L’abbraccio col Pd per Giuseppe Conte è mortale e questo porta frecce nella faretra di Grillo, che si prepara a dare battaglia nell’Assemblea costituente della settimana prossima, e degli “autonomisti”, che al vertice si contano sulla punta di una mano sola ma alla base sono decisamente più forti. Le alternative sono secche e l’Assemblea dovrà sciogliere l’eterno rovello: o tornare da soli, col rischio di affossare l’ancora virtuale centrosinistra, oppure accettare una volta per tutte il bipolarismo e provare a giocarsela nella competizione interna.
Sfida difficile perché si è creata una situazione paradossale. Schlein deve il più che brillante successo in Emilia-Romagna e in Umbria anche alle preferenze, insomma ai cacicchi. L’area moderata, che non esiste come i risultati da prefisso telefonico dei centristi attestano, la copre già il Pd. Ma anche a sinistra Elly l’outsider finisce per fare la parte del leone.
Così al termine della tornata di regionali finita due a uno per il centrosinistra le due leader della politica italiana si trovano in posizione simmetrica. Meloni gode ancora di una robusta popolarità personale e ha reso il suo partito egemone a destra. Ma deve ancora domare la sua coalizione, anche nei comportamenti, e inventarsi una classe dirigente. Schlein ha riportato alla vita e alla piena salute un partito agonizzante. Però deve ancora dimostrare di saper costruire e guidare una coalizione.
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