Politica

Salvini esulta, Tajani mogio. E Meloni è nella strettoia

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla Camera foto di Roberto Monaldo/LaPresseIl presidente del Consiglio Meloni con il ministro dei Trasporti Salvini e il ministro degli Esteri Tajani – Roberto Monaldo/LaPresse

Reazioni italiane La premier, preoccupata per le ripercussioni, proverà a proporsi come cerniera con la Ue

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 7 novembre 2024

Basta immaginare quali sarebbero stati i commenti di Giorgia Meloni se in Spagna Vox avesse vinto le elezioni e poi fare il paragone con il comunicato algido con il quale ha salutato ieri la vittoria di Trump per capire che quel trionfo per lei è un problema. Non che la si spinga sino a far trapelare viva preoccupazione, come fanno invece Scholz e Macron, però è sideralmente distante dal tripudio di Orbán o di Salvini. Dopo le congratulazioni di rito parla di Usa e Italia come di «nazioni sorelle», esalta l’«alleanza incrollabile», i «valori comuni», la «storica amicizia» ma nulla di più. Tutto sommato è un messaggio strettamente istituzionale, non diverso da quello del capo dello Stato, con gli «inscindibili vincoli di amicizia e collaborazione cementati dalla condivisione dei valori democratici». Forse persino più timido.

TIMIDEZZA E DISCREZIONE non fanno parte del bagaglio di Salvini. Dà fuoco alle polveri e spara mortaretti per l’intera giornata: si congratula in videomessaggio con tanto di trumpianissima cravatta rossa e maglietta in stile Proud Boy alle spalle, poi si trasferisce alla Camera, ornato dalla medesima cravatta, e ci dà sotto con le iperboli: dalla «giornata storica per l’intero occidente» alla «fine del tunnel», dall’esempio globale in tema di lotta all’immigrazione alla candidatura al Nobel per la pace: «Se grazie alle sue conoscenze riporta al dialogo i belligeranti può ambire al premio». Addirittura.

Salvini spera che l’esplosiva novità porti presto al blocco dell’invio delle armi. Esclude gare di trumpismo tra lui e Meloni. Però trova modo di sottolineare che più trumpiani di lui nella penisola non se ne trovano: «Non ho mai nascosto la mia preferenza. Altri nel centrodestra la pensavano diversamente ma questo non intacca il governo». L’«altro» per eccellenza è Tajani che tifava per Harris e infatti è mogio. Ma tra le righe si intravede anche il profilo di Meloni, che non si è schierata e se lo avesse fatto probabilmente avrebbe tifato per la democratica.

QUESTIONE DI INTERESSE, non di ideologia. La vittoria di Trump è un problema per la premier italiana come per tutti gli altri capi di governo europei: per la minaccia di dazi del 10 o addirittura del 20%, che metterebbero in ginocchio l’intera economia europea ma quella dell’Italia, che ha negli Usa il secondo sbocco per importanza nell’export, un po’ più delle altre. Perché il peso della Nato, non una piuma, ricadrà maggiormente sul braccio europeo dell’Alleanza e saranno altre esose spese. Perché la premier italiana, nel probabile caso di una giravolta americana sull’Ucraina, perderebbe una carta che le aveva garantito un rapido sdoganamento a Bruxelles e un rapporto privilegiato con la Casa Bianca che non sarà comunque facile riproporre. Certo la rosa ha anche i suoi petali: oggi per l’Italia come per tutta l’Europa la guerra in Ucraina è un pietrone al collo.

Poi ci sono i guai come leader dei Conservatori. L’insediamento a Washington di un sovranista molto più vicino alla concorrenza dei Patrioti di Orbán e Salvini rafforza questi ultimi e danneggia la posizione «mediana» del gruppo dell’italiana. Ma è anche vero che l’incomunicabilità tra i leader europei e Trump, e peggio con i trumpisti d’Europa, le apre spazi come cerniera e canale di comunicazione. Quanto ai rapporti diretti con il presidente, a palazzo Chigi contano senza nasconderlo sull’ottimo rapporto fra Meloni e Musk: chi più potente di lui in questo momento? Insomma qualche motivo di ottimismo la premier lo riscontra. Ma certo non brinda.

Tutte queste reazioni, quelle conclamate e quelle celate per dovere d’ufficio, erano prevedibili, anzi previste. Esattamente come quelle dell’opposizione. Elly Schlein resta muta a lungo, poi si sbottona dall’Umbria, con i giornalisti: «Brutta notizia per l’Italia e per la Ue. Chi festeggia smetterà quando il protezionismo colpirà imprese e lavoratori». Critici tutti gli altri, da Renzi a Fratoianni a Calenda. La sorpresa si chiama Conte. Il suo è un messaggio di congratulazioni caloroso, nel quale sottolinea «la vittoria netta anche nel voto popolare» ed esalta la «grande sfida» del riportare la pace, obiettivo al quale «anche l’Italia potrà dare un importante contributo».

MOLTI 5S SI SBRACCIANO per escludere civettamenti con Trump, ma il segnale è troppo chiaro per poter essere negato. Per un leader che sta cercando una strada e un’identità diverse e distanti da quelle del Pd, il ritorno di un presidente che stima «Giuseppi» molto più di quanto non apprezzi Salvini può rivelarsi domani un’occasione preziosa. Perché bruciarla subito?

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