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Salvataggi di ieri, crisi di domani

Nuova finanza pubblica Mentre a ridosso dello spostamento del focus della crisi globale in Europa si parlava ovunque di debito e banche - oltre che di euro e spread - sembra si sia smarrita la connessione di essi con le perduranti politiche di austerità

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 8 dicembre 2018

«Il debito mondiale continua ad aumentare». Tale è la semplice didascalia ad un grafico della ultima Relazione economica annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bis) uscita a giugno 2018. Una istituzione assai poco conosciuta, se non fra gli addetti ai lavori che ne apprezzano il rigore e la ricchezza dei dati statistici, e che qualcuno ha denominanto la banca centrale delle banche centrali. Roba seria, insomma.

Il grafico cui si riferisce mostra la crescita del debito globale: che nel 2018 sfonda la soglia del 320% sul Pil mondiale, per un totale che Bloomberg intorno ai 250 trilioni.

Ma più che le dimensioni assolute dei livelli attuali è interesante la loro dinamica nel tempo: il debito globale, suddiviso fra pubblico, delle imprese non-finanziarie e delle famiglie, cresce soprattutto per quanto riguarda quello degli Stati.

Questi temi sembrano scomparsi dal dibattito e dai programmi dei partiti. Mentre a ridosso dello spostamento del focus della crisi globale in Europa si parlava ovunque di debito e banche – oltre che di euro e spread – sembra si sia smarrita la connessione di essi con le perduranti politiche di austerità.

Sul sito della Commissione europea è leggibile un rapporto sugli aiuti di Stato dei membri Ue. Com’è noto l’art. 107 Tfue disciplina i contributi finanziari concessi dalle autorità nazionali verso le proprie imprese in un’ottica piuttosto limitativa (c’è sempre il “rischio” che falsino la concorrenza), in ogni caso a volte sono proibiti e a volte no. Fra essi ci sono anche i salvataggi alle banche – che nonostante ciò cozzi in maniera abbastanza flagrante con il liberismo dei trattati, essi sono stati ritenuti legittimi.

Fra il 2008-2016 la Ue ha approvato finanziamenti pari a circa 1.400 miliardi di euro (1,4 trilioni), corrispondenti a quasi il 10% del pil continentale, ma considerando le garanzie a favore degli istituti di credito – solo in parte effettivamente usate, va detto – si superano addirittura i 3600 miliardi!

In Italia la spesa rispetto a Germania e Uk sarebbe stata meno onerosa: secondo i calcoli del Sole 24-Ore e de lavoce.info i salvataggi bancari fra 2013-16 hanno comportato spese per 18-24 miliardi, anche se ulteriori analisi sull’impatto di essi mostrerebbe un costo per la società italiana di oltre 60 miliardi.

Dimenticare tali trascorsi, in un periodo in cui tali temi sono diventati meno di moda, non è solo un cattivo esempio di politica preda della contingenza ed incapace di restituire una analisi di livello in merito a dinamiche economiche che hanno una indubbia continuità. È anche un sintomo di una scarsa lungimiranza per il futuro.

Steve Bannon, l’ideologo del trumpismo, alla festa nazionale di Fratelli d’Italia ha speso una considerevole mole di tempo ad inveire contro la rapacità, l’incompetenza del “partito di Davos”, i tecnocrati e l’oligarchia che si arricchisce sempre più impoverendo l’uomo comune, e aggiunge che «stiamo costruendo le basi di una nuova crisi finanziaria che farà impallidire quella del 2008; e sarà una crisi valutaria, debitoria» (il personaggio in questione ha lavorato per Goldman Sachs quindi qualche esperienza in merito ce l’ha).

Come scriviamo su queste pagine da anni, le cause di fondo delle dinamiche economiche responsabili della crisi sono pressoché intatte, e sarebbe tragico che le forze del populismo reazionario si dimostrassero più pronte e consapevoli di questo rispetto a quelle che affondano le loro radici nel movimento operaio.

* Cadtm Italia

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