L’accordo politico sul salario minimo a nove euro tra le opposizioni parlamentari (Pd, Cinque Stelle, Azione e Verdi-Sinistra, tranne Italia Viva di Renzi), sarà un successo quando il governo Meloni si convincerà ad approvarla. Ma, visto che non ha alcuna intenzione di farlo, conviene non parlarsi addosso. Il salario minimo è un primo passo ma non è sufficiente. Servono politiche fiscali, dei redditi, industriali completamente nuove e tutte da costruire. È il sentiero stretto tracciato ieri da Elly Schlein (Pd) e Giuseppe Conte (Cinque Stelle) durante il dibattito su «Inflazione e salari: quali politiche?» in un’affollata sala lauree della facoltà di Economia di Roma Tre con Maurizio Landini (Cgil) e Pierpaolo Bombardieri (Uil), moderati da Lina Palmerini.

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È STATA LA PRIMA photo opportunity in pubblico dopo nove mesi di governo Meloni. Da un lato, c’erano i principali partiti dell’opposizione parlamentare (Pd, 5S) che ha raggiunto un’intesa minima e tutta da discutere su un provvedimento simbolico che avrebbe potuto essere varato negli anni scorsi quando erano al governo. Dall’altro lato, c’era una parte dei sindacati confederali che si sono spaccati. Tra Bombardieri (Uil) e il segretario della Cisl Luigi Sbarra sono volate parole grosse. Il primo lo ha criticato perché «dialoga molto bene con i sindacati gialli» che partecipano a i tavoli con il governo. Il secondo ha replicato: «Parole gravi e farneticanti».

LO SCONTRO TRA I SINDACATI è anche sul salario minimo. La Cisl spinge per rafforzare la contrattazione, mentre Cgil e Uil non la intendono in contrapposizione con la paga minima oraria perché dovrebbe essere agganciato all’articolo 36 della Costituzione e alla retribuzione complessiva del contratto comparativamente più rappresentativo. Servirebbe però una legge sulla rappresentanza. Nel dissidio si sono incuneate Giorgia Meloni, e la ministra del lavoro Marina Calderone, che sostengono l’idea per cui al salario minimo «non si arriva per legge». Alla finestra resta il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che ieri, da Assolombarda a Milano, ha detto che «non è un nostro problema: noi paghiamo il giusto».

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LANDINI HA RICORDATO il problema di fondo che esiste con questo (e altri governi): «Stiamo facendo una serie di incontri inutili e finti – ha detto – Al tavolo ti siedi accanto a soggetti che non sai chi rappresentino e non c’è nessuna discussione vera con il governo che non riconosce al sindacato il ruolo di chi rappresenta milioni di persone». Nel frattempo l’inflazione morde, i salari stagnano, il crollo del potere d’acquisto del 15% in due anni ha colpito di più le classi povere. E il governo non ha messo un euro sul rinnovo dei contratti nazionali. Preferisce proseguire con la pioggerellina dei bonus o qualche riduzione limitata del «cuneo fiscale». I metalmeccanici, che pure hanno strappato aumenti da 123 euro al mese, faranno sciopero il 7 e il 10 luglio. In gioco è il futuro della manifattura e il modello industriale.

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QUELLO che è stato messo in discussione, dalle relazioni che hanno proceduto il confronto politico organizzato dall’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico, tornato all’insegnamento a Roma 3, e da Mario Pianta (Scuola Normale Superiore e Sbilanciamoci) che ha curato un volume collettivo in uscita in autunno per Carocci con lo stesso titolo dell’incontro di ieri. Un profilo critico della congiuntura drammatica in cui ci troviamo è emerso dagli interventi di Maria Cecilia Guerra (economista all’università di Modena-Reggio Emilia, Pd), Linda Laura Sabbadini (Istat), Eliana Viviano (Bankitalia). Il sistema economico italiano è basato su salari poveri, altissima precarietà e settori a bassa produttività e scarsa innovazione tecnologica come il turismo e il ristorazione. Questo assetto produce effetti devastanti sugli affitti e la gentrificazione delle città ed è congeniale alle forme contrattuali inventate dal «centro-sinistra» e dal «centro-destra» negli ultimi 30 anni. È l’impostazione del «decreto lavoro» con il quale il governo Meloni ha varato l’«assegno di inclusione» e irrigidito il «reddito di cittadinanza», liberalizzato i voucher e aumentato la precarietà dei contratti a termine. Varando un salario minimo per Pasquale Tridico «tra maggior gettito e minori sussidi il bilancio pubblico guadagnerebbe 1,5 miliardi in più all’anno». Ma servirebbe un salario indicizzato pienamente all’inflazione. Eventualità remota in Italia.

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INEQUIVOCABILE è stata la ricostruzione dell’origine dell’attuale inflazione. Oggi l’inflazione è trainata dai profitti delle imprese. Non esiste una spirale tra i prezzi e i salari. L’Eurozona è in recessione tecnica. Gli aumenti dei tassi di interesse della Banca Centrale Europea aggravano questa situazione e difendono i profitti. «La stupidità politica è un dramma – ha detto Pianta – Ci sono crisi che possiamo evitare. Con il ritorno del patto di stabilità dal 2024 si rischia di legarsi le mani. Questa è la parodia dell’austerità del 2008».

LA CONTESTAZIONE degli effetti sistemici delle politiche monetariste resta timida da parte di Schlein che rimprovera a Meloni di fare «scaricabarile». È sembrata più puntuta quella di Conte. Più forte resta la polemica contro il governo. «È una precisa strategia: aumentare le disuguaglianze» ha detto Schlein. Per Conte «getta benzina sul fuoco in modo consapevole, programmando un incendio sociale».