Mario Pianta: «Non lasciare a Meloni la critica dell’austerità»
Intervista Parla Mario Pianta, economista alla scuola Normale e membro della campagna Sbilanciamoci: "La denuncia delle misure restrittive della Bce non può essere lasciato al governo delle destre che criticano l’austerità in Europa ma la praticano in Italia colpendo il lavoro e i poveri" Lunedì 3 luglio a Roma un seminario con Landini, Bombardieri, Schlein e Conte su salari e inflazione
Intervista Parla Mario Pianta, economista alla scuola Normale e membro della campagna Sbilanciamoci: "La denuncia delle misure restrittive della Bce non può essere lasciato al governo delle destre che criticano l’austerità in Europa ma la praticano in Italia colpendo il lavoro e i poveri" Lunedì 3 luglio a Roma un seminario con Landini, Bombardieri, Schlein e Conte su salari e inflazione
«La politica della Bce contro l’inflazione è un rimedio che rischia di essere peggiore del male. Il ruolo di denuncia delle misure restrittive non può essere lasciato al governo Meloni che critica l’austerità in Europa ma la pratica in Italia, con politiche che colpiscono il lavoro e i più poveri – sostiene Mario Pianta, economista alla Scuola Normale Superiore e membro della campagna Sbilanciamoci! – L’arrivo dell’inflazione, gli effetti sui salari, le misure per stabilizzare i prezzi evitando una recessione sono questioni complicate che richiedono politiche nuove, coordinate tra di loro, non i dogmi dell’austerità».
Qual’è la situazione attuale?
Partiamo dai dati. Nel 2022 l’inflazione è stata dell’8,7%, nel 2023 resterà sopra il 6%. In Italia non ci sono stati adeguamenti rilevanti dei salari reali con l’eccezione del contratto dei metalmeccanici, chiuso di recente con aumenti di 123 euro al mese, e di contratti di categorie minori. I meccanismi di indicizzazione sono del tutto inadeguati per affrontare il calo del potere di acquisto. Una caduta dei redditi reali dell’ordine del 15% è un serio problema di politica economica e di giustizia sociale. In questa situazione abbiamo la necessità di una discussione pubblica di ampio respiro che coinvolga i partiti, i sindacati e la società.
È quello che sta avvenendo?
Noi ci proviamo. Lunedì prossimo, all’università Roma tre, ne parleremo con Maurizio Landini della Cgil e Pierpaolo Bombardieri della Uil, Elly Schlein del Pd e Giuseppe Conte dei Cinque Stelle. Proporremo una discussione a partire da un libro che ho curato e uscirà a settembre, L’inflazione in Italia. Cause, conseguenze, politiche (Carocci), insieme a Maria Cecilia Guerra, Pasquale Tridico, Lilia Cavallari e Sergio Nicoletti Altimari. Sulle cause dell’attuale inflazione e sugli effetti che ha sui salari c’è una confusione di fondo.
Quale?
La visione mainstream dell’inflazione vede l’aumento dei prezzi come un fenomeno esclusivamente monetario che può essere tenuto sotto controllo attraverso le Banche centrali che riducono la liquidità, aumentano i tassi d’interesse, comprimono la domanda e, per questa via, salari e prezzi. Questo approccio è del tutto inappropriato di fronte all’inflazione di oggi dovuta al balzo dei prezzi dell’energia e ai rincari delle imprese che puntano a profitti più alti. Le retribuzioni non sono aumentate e i dati dell’Ilo mostrano che in Italia dal 2008 a oggi i salari reali sono calati del 10%, mentre in Germania aumentavano del 12%. Le politiche restrittive introdotte dalla Bce stanno complicando i problemi: calano gli investimenti, aumentano gli oneri da pagare per gli interessi sul debito pubblico, l’area Euro è entrata in recessione dalla primavera scorsa. Politiche di questo tipo sono un rimedio che rischia di essere peggiore del male, lo dicono anche esperti come l’ex capo economista del Fmi Olivier Blanchard e Joseph Stiglitz.
Il governo Meloni non intende adottare il salario minimo, è escluso che faccia una politica dei redditi, e si è affidato a bonus e sgravi del cuneo fiscale. Sono misure adeguate?
No. In Francia, Germania e Spagna i governi hanno anche cambiato le regole per i mercati dell’energia, introdotto il controllo dei prezzi del gas e dell’elettricità, assunto quello di imprese del settore. Così hanno limitato la trasmissione dei rincari nel resto dell’economia. La crisi dei prezzi dell’energia ha mostrato quanto sia importante lasciarsi alle spalle la logica della liberalizzazione dei mercati energetici, ora dominati da logiche speculative, e trovare nuove modalità di organizzare produzioni e mercati nell’interesse pubblico.
Nonostante la sua inadeguatezza l’estrema destra si consolida. Da dove deriva il suo consenso?
Da un diffuso senso di insicurezza e dagli effetti dell’impoverimento delle classi medie e basse un po’ in tutta Europa. La mancanza di prospettive di crescita e l’incertezza di fronte alle trasformazioni tecnologiche e all’instabilità finanziaria legata all’inflazione aumentano le paure e il bisogno di protezione. È questo che la destra propone più sul piano ideologico che sul piano degli interventi concreti che si sono limitati a misure frammentate e a trattamenti di favore per i gruppi sociali di riferimento come la parte più ricca dei lavoratori autonomi in Italia. Nella sua politica non c’è una risposta complessiva a questi problemi, ma c’è un consolidamento di un blocco sociale impaurito e conservatore.
A questa situazione contribuiscono anche le opposizioni divise che esprimono idee generiche…
Tuttavia il sindacato ha la possibilità di aprire un conflitto sulla difesa dei salari, la riduzione del precariato e delle diseguaglianze, e le forze politiche d’opposizione potrebbero riconnettersi con gli interessi materiali della parte di società colpita più duramente dalla crisi, che ha bisogno di riconoscersi in politiche alternative.
Su quali contenuti?
L’introduzione di un salario minimo indicizzato come rete di salvataggio per i redditi più bassi anche di fronte all’inflazione; accordi sindacali che mettano al centro il recupero della capacità di acquisto dei salari; il rifiuto di politiche fiscali restrittive che peggiorano il quadro economico; l’avvio di politiche industriali e ambientali capaci di creare nuove attività economiche sostenibili. È fondamentale per le sinistre e i sindacati evitare di rivivere un «decennio perduto», segnato da impoverimento e declino, come quello seguito alla crisi del 2008.
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