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Salari «ostaggio» in banca. La protesta dei manovali palestinesi

Salari «ostaggio» in banca. La protesta dei manovali palestinesiManovali palestinesi in Israele

Cisgiordania Oggi nuove proteste contro l'accordo che Israele e Autorità Palestinese (Anp) che prevede che il pagamento dei salari non avvenga più in contanti ma attraverso le banche in Cisgiordania. I lavoratori non hanno fiducia nell'Anp

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 28 agosto 2022
Michele GiorgioGERUSALEMME

Senza l’appoggio dei sindacati, i manovali palestinesi che lavorano in Israele continuano le mobilitazioni cominciate il 21 agosto al valico di Tarkumiya (Hebron) e al valico di Tulkarem, contro l’accordo tra lo Stato ebraico e l’Autorità Nazionale (Anp) di Abu Mazen che, ora in via sperimentale e dal primo gennaio 2023 in via definitiva, prevede che il pagamento dei loro salari non avvenga più in contanti dai datori di lavoro israeliani ma attraverso le banche palestinesi in Cisgiordania. Una nuova ampia protesta è attesa per questa mattina a tutti i valichi tra Cisgiordania e Israele e non è escluso uno sciopero a tempo indeterminato. Il timore dei lavoratori è che dietro l’intesa si nascondano oltre alle commissioni bancarie e anche tasse destinate alle casse vuote dell’Anp. Parecchi manovali ammettono senza peli sulla lingua di non avere fiducia nelle banche cisgiordane e nell’Anp.

Mohammad Khasib, 43 anni, è impiegato in una fabbrica di alluminio in Israele e sottolinea che la decisione è stata presa senza tenere conto dell’opinione dei lavoratori. «Hanno pianificato tutto senza consultare il sindacato dei lavoratori – ha detto ai giornalisti – nessuno ci ha chiesto se siamo d’accordo e che rischi corriamo se rifiuteremo il pagamento attraverso le banche. Verremo licenziati?».

Per una giornata di lavoro in Israele, quasi sempre in cantieri edili, un manovale palestinese riceve in media 350 shekel (100 euro), molto più che in Cisgiordania. Però deve pagare ogni mese 1700 shekel, più di 500 euro, per rinnovare il permesso di ingresso in Israele e spendere almeno altri 100 euro per i trasporti. I manovali pendolari temono che tra nuove tasse e commissioni bancarie di vedere prosciugati i loro salari. Uno scenario smentito categoricamente dal ministro del lavoro dell’Anp, Nasri Abu Jeish, secondo il quale non c’è alcun piano per imporre nuove tasse da parte dell’Anp. Pochi ci credono e comunque le banche guadagneranno milioni. Gli stipendi saranno pagati settimanalmente trattenendo una commissione bancaria di 3,50 shekel (un euro) per bonifico. Significa che le banche incasseranno quattro euro al mese da ogni lavoratore. Tenendo conto che sono circa 200mila i manovali palestinesi che ogni giorno vanno in Israele, le commissioni garantiranno alle banche cisgiordane 800mila euro al mese.

Dal ministero della difesa israeliano affermano che la misura «rafforzerà l’economia palestinese e avrà effetti positivi per le pensioni dei lavoratori». Lo scetticismo invece dilaga tra i manovali e le loro famiglie che ripetono di non avere fiducia nell’Anp. «Il punto centrale di questa protesta non è legato alle commissioni bancarie o al pericolo di nuove tasse, la questione vera è la sfiducia che i palestinesi hanno verso la gestione complessiva del denaro da parte dell’Autorità Nazionale e dei suoi dirigenti», ci dice Nasser Abdul Hadi, un carpentiere che lavora in Israele. «Altrimenti – aggiunge – non ci sarebbero stati problemi a ricevere i salari attraverso le nostre banche»

Sfiducia non nuova. Nel 2019 migliaia di palestinesi, per giorni, protestarono davanti alla sede dell’Istituto di previdenza sociale, a quel tempo appena costituito dall’Anp per garantire pensioni e offrire prestazioni assicurative ai palestinesi nel settore privato. I manifestanti pur essendo a favore del sistema di sicurezza sociale, si dicevano preoccupati dalla corruzione nell’Anp e timorosi che un giorno il governo potesse prelevare i contributi versati all’Istituto della previdenza sociale per destinarli alla copertura di una emergenza finanziaria. Le proteste si fecero più intese quando l’allora ministro del welfare israeliano Haim Katz annunciò che il suo governo avrebbe iniziato a inviare parte degli stipendi dei manovali palestinesi all’Istituto creato dall’Anp. Da allora il sistema di previdenza sociale è rimasto sostanzialmente fermo.

Proteste di lavoratori anche a Gaza, sotto il controllo del movimento islamico Hamas, anch’esso con le casse vuote. Da giorni diverse decine di dipendenti del comune di Gaza city, guidati Muhammad al Sawafiri, segretario del sindacato della pubblica amministrazione, chiedono che siano pagati con continuità gli stipendi che nel migliore dei casi non superano i 1.800 shekel (poco più di 500 euro) al mese.

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