Salari da fame e zero diritti, i rider turchi spengono i motori
Turchia Da sei giorni corrieri in sciopero in tutto il paese: vogliono l'iscrizione al sindacato e la fine della precarietà. Decine di migliaia costretti ad aprire la partita Iva, ma con l'inflazione alle stelle le spese sono insostenibili
Turchia Da sei giorni corrieri in sciopero in tutto il paese: vogliono l'iscrizione al sindacato e la fine della precarietà. Decine di migliaia costretti ad aprire la partita Iva, ma con l'inflazione alle stelle le spese sono insostenibili
In Turchia sono in sciopero da sei giorni migliaia di corrieri e rider in diverse città del Paese. Chiedono un aumento giusto del loro stipendio, una condizione contrattuale corretta e il riconoscimento del diritto d’iscriversi a un sindacato. Prima di tutti sono stati i corrieri della Trendyol Express a scioperare, il 24 gennaio, contro l’aumento dell’11% proposto dall’azienda: dopo una settimana di resistenza hanno ottenuto il 39%.
Nei giorni successivi hanno deciso di scioperare anche i lavoratori delle aziende HepsiJet, Getir (da poco anche in Italia), Scotty, Aras Kargo, Sürat Kargo, Yurtiçi Kargo e Yemeksepeti Banabi. Si tratta di quei lavoratori che consegnano pacchi di ogni genere o cibo nelle grandi città.
Una crisi economica sempre più profonda da affrontare, le aziende che obbligano i dipendenti ad aprire la partita Iva, le condizioni di lavoro precarie e non tutelate e il diritto a iscriversi a un sindacato non riconosciuto, sono quei motivi che hanno spinto migliaia di persone a spegnere il motore.
Selim Dover lavora per l’azienda Yemek Sepeti (nello stesso gruppo con Foodora) e consegna con il motorino pasti caldi dal 2019: «Fino al 2022 l’aumento è stato del 20%, tuttavia oggi l’azienda vuole pagarci il salario minimo garantito e l’ha fatto passare come un aumento. Invece tenendo in considerazione la forte inflazione sosteniamo di meritare una cifra molto più alta».
Il salario minimo garantito di cui parla Selim è di 4.253 lire turche pari a circa 273 euro, l’aumento che ha apportato Ankara due mesi fa riconoscendo la crisi economica in atto. Tuttavia secondo l’Istituto Nazionale di Statistica di Turchia (Tuik), l’inflazione avrebbe superato la soglia del 48%. Secondo l’Istituto indipendente di Studi sull’Inflazione (Enak), la cifra reale sarebbe al di sopra del 115%. Dall’altra parte, secondo il sindacato confederale Turk-Is, nel mese di gennaio 2022, la soglia della fame è salita a 4.249 lire, quasi pari al salario minimo garantito.
Tenendo in considerazione che in Turchia più della metà dei lavoratori lavora per il salario minimo garantito le richieste dei corrieri valgono per milioni di persone. Ramazan è uno dei colleghi di Selim: «Facendo questo lavoro ho avuto diversi incidenti, sono stato operato e ho perso la sensibilità di parte della bocca. Rischio la mia vita ma l’azienda mi vuole dare il salario minimo garantito che è una cifra miserabile».
Per ottenere una serie di riconoscimenti legali e contrattuali è necessario organizzarsi ed eventualmente ricevere il sostegno di un sindacato, ma in Turchia i corrieri non hanno questo diritto. Hazal Hendekçi è del Sindacato dei lavoratori del settore dei servizi (Tehis): «In Turchia, i corrieri fanno parte della categoria numero 10 , in teoria riservata alle persone che lavorano in ufficio. Devono essere riconosciuti come lavoratori che consegnano merci ma questa categoria è inesistente».
Questo vuoto legislativo fa sì che una serie di diritti garantiti dalla Costituzione o pretesi dai dipendenti non possano essere riconosciuti. Un altro punto contestato da migliaia di corrieri in sciopero è quello di dover lavorare con la partita Iva. Attualmente sono più di 150mila le persone che lavorano in questo status. Le aziende cercano di rendere insostenibili le condizioni economiche per i dipendenti spingendoli ad aprire la partita Iva. Così i corrieri apparentemente prenderebbero di più, in lordo, ma tutte le spese necessarie per lavorare sarebbero a carico loro.
In un Paese in cui il prezzo della benzina in un anno è aumentato di ben 46 volte e le tasse per i mezzi a motore del 25%, le difficoltà che devono affrontare i corrieri autonomi sono grandi. Erkan Kidak è uno dei ricercatori dell’Università di Pamukkale, specializzato in politiche sociali: «Anche se lavorano esclusivamente per un’azienda, i corrieri per la legge sarebbero autonomi. Facendo così le aziende evitano una serie di responsabilità, fiscali e legali: le misure necessarie per la lotta contro la discriminazione, i diritti sindacali, il tfr e i contributi della provvidenza sociale». Secondo Kidak nel momento in cui un corriere decidesse di aprire la partita Iva e affrontasse tutte queste spese gli rimarrebbe una cifra quasi pari al salario minimo garantito.
In questa lotta sono coinvolti anche i corrieri con partita Iva che chiedono un aumento del 40%. Secondo Erkan si tratta di una categoria di lavoratori che non ha altra scelta tranne quella di vendere la loro forza lavoro. Quindi a livello giuridico devono essere riconosciuti come lavoratori nella categoria adeguata. «È necessaria una riforma dignitosa anche in Turchia per questo settore esattamente com’è successo in alcuni paesi nel mondo».
Non si sa quando terminerà lo sciopero, ma la lotta dei corrieri è anche la dimostrazione che le politiche economiche fallimentari di questo governo sono arrivate al capolinea.
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