Nel 1986 Kurt Waldheim, già segretario delle Nazioni unite, decide di candidarsi a presidente dell’Austria, ha un grande prestigio politico internazionale, la sua figura alta e longilinea è familiare ovunque. Accade però qualcosa di imprevedibile: un giornale, il settimanale austriaco «Profil», pubblica un articolo a firma del giornalista Alfred Worm in cui si rivela che Waldheim aveva avuto legami col nazismo omessi nella sua biografia ufficiale in cui affermava di essere stato ferito nel ’42 e per questo di non avere più combattuto.

Sembrerebbe impossibile visti gli incarichi ricoperti fino a quel momento eppure poco dopo il Congresso Mondiale ebraico – che sarà il più determinato nella richiesta di fare luce sulle responsabilità di Waldheim – produce nuove accuse riguardo la sua presenza al fronte jugoslavo nell’esercito nazista che massacrò i partigiani di Tito, e soprattutto in Grecia, a Salonicco, dove partivano le deportazioni dei cittadini ebrei verso Auschwitz.

L’Austria si divide tra chi sostiene la sua innocenza e chi invece ne rifiuta la candidatura a presidente, Waldheim però non si ritira, la sua campagna elettorale risponde alle accuse sottolineando il suo profondo legame col Paese e coi suoi valori, la famiglia che gli è accanto e lo sostiene, la figlia in particolare, il benessere, la tranquillità per tutti gli austriaci messa in pericolo dalle menzogne di un piccolo gruppo: un interno di perfezione, costruito attentamente nel tempo (ci sono dei film con la moglie di Waldheim che mostra alla televisione la loro casa) minacciato da un esterno che cerca di destabilizzare il Paese.

Waldheims Walzer, il film di Ruth Beckermann presentato al Forum, ripercorre attraverso gli archivi la campagna elettorale che finirà con la vittoria di Waldheim, e la sua iscrizione in America – nonostante sia il presidente dell’Austria – nell’elenco delle «persone non grate». La regista è tra gli attivisti che lo contestano e filma nelle strade di Vienna divenute delle agorà politiche in cui il nazionalismo si mischia all’antisemitismo, e proprio quel materiale come dice la sua voce – che è quella narrante – è stato il punto di partenza di un lavoro composto unicamente da archivi, la cui unità temporale è data dall’agenda elettorale fino all’ultimo ballottaggio.

Beckermann lavora su un duplice piano: c’è da un lato l’imbarazzo internazionale – si disse che la Cia fosse già al corrente – dall’altro la menzogna dell’ex-segretario delle Nazioni coincide con quella dell’Austria che alla fine della guerra si è rappresentata come vittima e mai come complice dei nazisti – cosa che tra l’altro ha permesso agli austriaci di non pagare le compensazioni belliche – a cominciare dalla responsabilità nell’Olocausto. È un film sulla rimozione Waldheims Walzer che ha permesso all’Austria di rifondare la propria immagine e il racconto collettivo di sé senza sussulti, su un passato la cui eco risuona nel presente specie dopo l’elezione alla cancelleria del populista di destra Sebastian Kurz. Ne parliamo insieme a Ruth Beckermann.

«Waldheims Walzer» appare molto attuale rispetto alla situazione oggi in Austria. Cosa l’ha convinta a riprendere in mano i suoi archivi?

In realtà ho iniziato a lavorare al film nel 2013, prima di girare Die Gretraumten (2016). Ho guardato quelle immagini e le ho trovate scioccanti, specie per il modo in cui i giovani nelle discussioni parlano di populismo e di molte altre questioni che si ripropongono ancora adesso.

Viene subito da chiedersi come mai non lo abbiano scoperto, quando decide di presentarsi alle presidenziali Waldheim è un politico di alto livello.

Credo che in realtà non avessero mai fatto tante ricerche sul suo conto. Si diceva che era sotto ricatto degli jugoslavi ma quando la voce comincia a circolare siamo già negli anni Ottanta. Prima non si parlava troppo del passato, della seconda guerra, quello che è accaduto rispetto a Waldheim vale per altri politici. Si parlava poco pure dell’Olocausto degli ebrei e delle altre vittime dello sterminio nazista. Il tema ricorrente erano la Resistenza, la guerra di Liberazione, l’Olocausto è divenuto un soggetto di discussione mondiale solo negli anni Ottanta e in grande parte grazie a Shoah (1985), il film di Claude Lanzmann che è stato decisivo anche per me, per questo ho voluto inserirlo nel mio film. La sua ricerca ha prodotto una coscienza di quanto è accaduto che fino allora non si aveva, non in modo così netto almeno.

Rispetto a Waldheim sembra che i principali promotori della ricerca di verità siano i Comitati ebraici.

No, non è così, c’è un sentimento generale diffuso contro di lui tra chi non vuole dimenticare quanto è accaduto durante la guerra. Anche per questo ho deciso di utilizzare solo materiale d’archivio, una cosa che non avevo mai fatto, ma non volevo interviste girate oggi con riflessioni a posteriori che avrebbero cambiato il senso delle cose. Non è stato semplice, ho guardato moltissime immagini, era importante stabilire una cronologia per non perdersi; ho deciso di seguire i mesi delle elezioni con delle variazioni che mi permettevano di conoscere meglio la figura di Waldheim.

E che idea si è fatta su di lui?

Non era un nazista, direi che è stato più un opportunista, ha mentito su di sé nell’autobiografia e ha continuato a farlo anche quando è stato costretto a ammettere che molte cose che gli venivano attribuite erano vere. Era incapace di dire la verità, come tanti austriaci, che lo hanno eletto sull’onda del patriottismo e dell’antisemitismo scatenati dai suoi difensori. Il caso Waldheim è stato molto importante perché ha rotto un grande tabù basato sulla certezza che l’Austria era stata la prima vittima del nazismo. La fine di questa illusione ha segnato un punto di svolta: l’Austria ha ammesso finalmente le proprie responsabilità e nel ’93 anche il Parlamento ha riconosciuto questa colpevolezza. L’innocenza proclamata fino a quel momento era stata anche molto utile, aveva permesso di non pagare le compensazioni di guerra e l’Austria era quel Paese grazioso del turismo di laghi e di montagne.

E oggi? Cosa accade con la vittoria della destra di Kurz?

È terribile, ogni settimana inventano un problema che non esiste, l’Austria è ricca ma loro parlano solo di sicurezza, vogliono più controlli, più polizia, più militari. Per fare sentire la gente insicura creano nemici che non ci sono, la campagna elettorale puntava solo sul razzismo. Purtroppo rappresentano un nuovo corso della politica che non riguarda soltanto l’Austria.