Russiagate e ingerenza nella sovranità. La doppia morale Usa
Se ve ne fosse bisogno, la testimonianza giovedì scorso dell’ex capo Fbi, James Comey, «dà una prova di come gli Usa mantengano un’impressionante mancancanza di coscienza di se stessi», sostiene […]
Se ve ne fosse bisogno, la testimonianza giovedì scorso dell’ex capo Fbi, James Comey, «dà una prova di come gli Usa mantengano un’impressionante mancancanza di coscienza di se stessi», sostiene […]
Se ve ne fosse bisogno, la testimonianza giovedì scorso dell’ex capo Fbi, James Comey, «dà una prova di come gli Usa mantengano un’impressionante mancancanza di coscienza di se stessi», sostiene su Progreso Semanal Keith Bolender, autore di Cuba Under Siege (Palgrave 2012).
Uno dei passi più commentati della testimonianza di Comey è quello sul pericolo che una grande potenza straniera, la Russia, possa interferire negli affari interni e politici della società americana. «Stiamo parlando di un governo straniero che con metodi tecnologici di ingerenza e in molte altre maniere ha tentato di influenzare la nostra maniera di pensare, di votare e di agire. E questo è un gran problema». Il dibattito pubblico, cioè ampiamente trattato dai mass media, sui tentativi della Russia di influire nelle scorse elezioni presidenziali è giunto alle conclusioni che gli Usa hanno subito una pericolosa ingerenza nella loro sovranità.
La tesi dell’ex capo dell’Fbi è che gli statunitensi hanno il diritto assoluto di decidere sulla struttura sociale e politica del proprio paese, senza interferenze esterne. E che uno dei più grandi pericoli che gli Usa possono correrere è che una potenza esterna possa influire su questo, sacrosanto, diritto. Ma, afferma Bolender, «è oggetto di discussione se gli Usa considerano che altri paesi abbiano lo stesso diritto» di non subire ingerenze esterne che ne minaccino la sovranità nazionale. E probabilmente «non si avrà nessun riconoscimento che quello che gli Usa hanno fatto a altri paesi è ben peggio di quanto abbiano tentato di fare i russi agli Stati Uniti».
Questo silenzio non è una novità, visto che vi sono ben pochi casi di paesi che hanno il coraggio di ammettere crimini simili a quelli attribuiscono ad altri. Ma il caso degli Stati uniti, visto da una prospettiva latinoamericana, è del tutto eccezionale. Milioni di persone nel subcontinente americano, dal Guatemala a Panama, dal Cile all’Argentina, dal Messico a Santo Domingo possono testimoniare sulla propria pelle della – così afferma Bolender – «distruttiva capacità di ingerenza degli Usa nella politica interna dei loro paesi».
E, ovviamente, la prospettiva si può ampliare includendo Vietnam, Laos, Iran e decine di altri paesi (Italia compresa) che, in forme diverse, hanno subito tale ingerenza. Sempre motivata da nobili scopi, difesa della democrazia, dei diritti umani e via dicendo.
Come sostiene Bolender «nessun esempio dell’ingerenza incontestabile degli Usa in affari interni di altri paesi è più evidente dell’ostilità che essi hanno dimostrato contro Cuba fin dal trionfo della rivoluzione nel 1959».
L’isola ha subito attacchi alla sua sovranità di tutti i tipi, dalla propaganda controrivoluzionaria a sanguinosi atti di terrorismo, da tentativi di invasione a attacchi biologici –parassiti contro le piantagioni di agrumi, denghe- a un blocco economico, commerciale e finanziario senza eguale nella storia. Altro che le «intrusioni tecniche» denunciate da Comey.
Gli Usa per più di 50 anni non si sono limitati a tentare di influenzare le tendenze politiche dei cubani, ma «hanno voluto distruggere la società nata dalla rivoluzione e appoggiata dalla grande maggioranza dei cubani».
Non per difendere democrazia e diritti umani, ma per impedire che la nuova società rivoluzionaria potesse estendersi in altri paesi dell’America latina e costituire una minaccia per gli Usa e i loro interessi imperiali nella regione.
È per questa ragione che, visto dall’America latina e soprattutto da Cuba, l’attuale dibattito negli States sull’operato di Trump e le «minacce» della Russia non è solo la conferma che «gli Usa mantengono una impressionante mancanza di coscienza di se stessi», ma una nuova prova della doppia morale e della conseguente differenza di concezione della sovranità nazionale della politica estera degli Usa.
Washington non ha mai riconosciuto, e continua a rifiutarsi di farlo, che Cuba abbia diritto a determinare il suo sistema politico senza che una potenza straniera le imponga la sua volontà e i modelli sociali da attuare.
E Trump minaccia di fare marcia indietro rispetto alle aperture attuate dal suo predecessore Obama, sempre in nome della democrazia e dei diritti umani. «Il patriottismo pare essere un concetto relativo, dipende da quale lato dello Stretto di Florida si viva», conclude Bolender.
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