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Russia-Wagner, i timori di Teheran e Damasco

Russia-Wagner, i timori di Teheran e DamascoIl presidente siriano Bashar Assad con Vladimir Putin – commons.wikimedia

La rivolta dei mercenari L'Iran e la Siria sono alleate di ferro di Vladimir Putin. L'instabilità in Russia preoccupa anche le petromonarchie

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 giugno 2023

Fiato sospeso a Teheran e in altre capitali del Medio oriente in cui si cerca di capire quanto la «pugnalata» che Evgenij Prigozhin ha dato alla schiena della Russia si rivelerà dannosa o addirittura letale per Vladimir Putin. Il presidente russo ha fatto della penetrazione nella regione e dell’alleanza con alcuni paesi mediorientali un caposaldo della sua politica estera. L’Iran è la parte più interessata, assieme alla Siria, alle vicende russe. I rapporti tra Mosca e Teheran sono stati altalenanti negli ultimi anni. Nella crisi siriana, ad esempio, i russi, che mantengono con qualche frizione buoni rapporti anche con Israele, hanno contenuto l’aspirazione iraniana di portare a ridosso del Golan le postazioni in Siria della Guardia Rivoluzionaria. Poi con l’inizio della guerra in Ucraina le relazioni si sono saldate, ad ogni livello, di pari passo con l’imposizione delle sanzioni occidentali alla Russia.

I due paesi hanno stretto la collaborazione militare e siglato numerosi accordi economici. Teheran peraltro ha fornito parte dei droni killer usati dai russi contro le forze armate ucraine, pare anche in questi ultimi giorni. Nessun dubbio, perciò, sul desiderio della Repubblica islamica che la ribellione di Prigozhin e della Wagner sia sbaragliata rapidamente. «Le tensioni tra la compagnia Wagner e lo Stato maggiore della Russia sono una questione interna di Mosca» ma l’Iran «sostiene lo Stato di diritto nel paese», ha comunicato ieri il portavoce del ministero degli Esteri iraniano.

Le possibili ripercussioni dell’instabilità in Russia generano timori a Damasco. Putin è stato fondamentale quando nel 2015 ha deciso di mettere i suoi cacciabombardieri a sostegno dall’alleato Bashar Assad e dell’esercito regolare siriano. Un aiuto che ha permesso alle forze governative di avere ragione delle organizzazioni islamiste e jihadiste ribelli e di recuperare il controllo delle ampie porzioni di territorio siriano perdute negli anni precedenti. Non solo. Putin ha anche promosso e accelerato il riavvicinamento tra Assad e il suo nemico principale, il presidente turco Erdogan. La mossa di Prigozhin pone anche un altro problema alla Siria dove da anni sono presenti milizie più o meno legate alla compagnia paramilitare russa incaricate di proteggere i giacimenti petroliferi nel deserto orientale ancora sotto il controllo di Damasco e di presidiare i limiti della fascia «Putin-Erdogan», l’area demilitarizzata concordata dai presidenti di Russia e Turchia nel 2018. Quelle milizie composte secondo alcune fonti da tremila uomini, in gran parte siriani, ora vanno smantellate?

Anche le petromonarchie seguono gli sviluppi russi. I Saud messi di fronte a un mondo che, almeno in apparenza, è sempre più multipolare, hanno allacciato rapporti importanti con il Cremlino, trovando all’interno dell’Opec+ intese per contenere la produzione di greggio e tenere alto il prezzo del barile, con grande disappunto dell’alleata Washington. Tifano Putin pure gli Emirati che nell’ultimo anno e mezzo hanno firmato accordi a raffica con Mosca.

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