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Russia e Italia tra sovranismi e sanzioni che restano

Russia e Italia tra sovranismi e sanzioni che restanoVladimir Putin e Giuseppe Conte – LaPresse

Putin a Roma Dal governo giallo-verde stima e promesse ma pochi fatti: in Europa Roma non si espone. Ieri sono stati sottoscritti nuovi contratti e altri ne sono stati perfezionati tra società russe e italiane, ma per ora si resta nel campo dell’ordinaria amministrazione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 luglio 2019

Tra quelli del G8, il governo italiano è il più esposto politicamente verso la Russia di Putin. Come è noto il gabinetto italiano si è posto l’obiettivo di togliere le sanzioni contro la Russia e il vice premier Salvini non ha mai nascosto la sua simpatia per il leader russo. Malgrado ciò, la visita del presidente russo di ieri verrà forse ricordata per la risoluzione, almeno provvisoria, dell’emergenza spazzatura a Roma.

La politica italiana verso la Federazione è ormai ridotta all’osso, anzi a brandelli di osso. In più di un anno di direzione della Farnesina non si ricorda una presa di posizione significativa di Enzo Moavero Milanesi sul paese slavo. Il premier Conte sia a ottobre a Mosca sia ieri a Roma si è limitato a sostenere che «le sanzioni contro la Russia debbano essere uno strumento ma non un fine» con l’obiettivo di giungere a un compromesso nel Donbass.

Una posizione che implicitamente conferma l’adesione dell’Italia alle sanzioni comminate dall’Unione europea (comprese quelle dello scorso novembre seguite alla crisi nello stretto di Kerch quando il governo giallo-verde era già in carica) ma soprattutto rappresenta uno slittamento della posizione italiana dalla «cancellazione» delle sanzioni al loro «superamento».

L’unica posizione chiara sull’Ucraina resta a oggi quella del capo della Lega: riconoscimento dell’annessione russa della Crimea e spartizione del Tridente in sfere d’influenza. Tuttavia forse è chiedere troppo al tricolore quando neppure la Ue ha una politica estera coerente nei confronti della Russia, basti pensare alle distanze tra Varsavia e Berlino su North Stream 2, il gasdotto che porterà dal 2020 55 miliardi di metri cubi di gas in Germania dalla Russia.

Putin sul Belpaese non si è mai fatto soverchie illusioni. «Sappiamo che l’Italia è un membro fedele di Nato e Ue e non pretendiamo un suo cambio di orizzonte strategico», ha segnalato qualche settimana fa quando su Palazzo Chigi aleggiava lo spettro della crisi.

Ieri a Roma sono stati sottoscritti nuovi contratti e perfezionati altri tra società russe e italiane, ma si resta per ora nell’ordinaria amministrazione malgrado una ripresa dell’interscambio commerciali dopo il profondo rosso seguito alla crisi ucraina del 2014 e la violenta svalutazione del rublo del 2015-2016. Le difficoltà nello sviluppo dei rapporti economici tra Italia e Russia non sono solo un fatto contingente.

Nell’intervista del Corriere della Sera di ieri, il capo del Cremlino è stato sollecitato a rispondere sull’ipotesi di acquisto da parte russa del debito pubblico italiano. Putin ha risposto sostenendo di non averne mai discusso con Conte, guardandosi bene dal segnalare che il suo paese non sarebbe mai in grado di fare una tale operazione finanziaria: ipotesi assurda visto il peso dell’economia russa, ma che misura la sopravvalutazione di Putin e del suo paese che circola, con il leader del Cremlino spesso immaginato come un deus ex machina.

Il pil russo è inferiore a quello italiano malgrado la Federazione abbia più del doppio di abitanti. Il Pil pro capite del Portogallo è due volte quello russo. La Russia dal punto dell’economia mondiale resta un paese semi-periferico, esportatore di materie prime (soprattutto gas e petrolio) e importatore di prodotti finiti e alta tecnologia.

E visti gli attuali prezzi del petrolio per raggiungere i tassi di crescita sognati da Putin (crescita media del Pil del 3,8% annuo) ha bisogno di promuovere grandi programmi nazionali in particolare nel settore delle infrastrutture rastrellando grandi capitali, eventualmente schiacciando anche i consumi interni, mentre l’Italia resta paese a vocazione esportatrice.

Per certe versi l’incontro con il Santo Padre è stato più importante di quello con Conte e Mattarella. Putin resta il possibile ambasciatore di un dialogo nel mondo cristiano tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa. Formalmente la Russia resta un paese dove la divisione tra Stato e religioni è netta e dove il multiconfessionalismo è un tassello imprescindibile della coesione sociale della Federazione.

Però nei suoi quasi 20 anni di presidenza lo «Zar», seppur indirettamente, ha fatto moltissimo per garantire la supremazia dell’ortodossia nel suo paese, di cui l’imponente programma di costruzione di nuove chiese è stato il tratto più evidente. Il patriarcato di Mosca dopo lo scisma con Costantinopoli e Kiev di qualche mese fa, deve affrontare una dolorosa ristrutturazione che però potrebbe portare in grembo nuove potenzialità.

Francesco non ha neppure chiesto a Putin di poter visitare nel prossimo futuro Mosca, un evento molto al di là di qualsiasi più rosea speranza per il Vaticano, ma l’ipotesi di un nuovo inizio dopo un millennio di incomunicabilità tra le due chiese cristiane potrebbe affacciarsi a fronte dell’ascesa prepotente dell’agnosticismo spirituale della Cina «comunista».

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